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09/Ott/16

Il capolavoro “Le sette opere di misericordia” di Caravaggio alla Libera Università di Polistena

Venerdì 7 Ottobre presso la Libera Università di Polistena si è svolto l’evento “Arte e fede: Caravaggio e le sette opere di Misericordia” al quale hanno partecipato in qualità di Presidente il prof. Giovanni Laruffa, il vescovo della Diocesi di Oppido Mamertina – Palmi, mons. Francesco Milito, la prof. Francesca Morabito, dirigente scolastico dell’Istituto “G. Rechichi”, il dott. Pietro paolo Cullari, presidente dell’Ass. “G. Marafioti”, il Chia.mo prof. Domenico Milito, ordinario di pedagogia presso l’Università della Basilicata e il prof. Marcello Anastasi, docente di Disegno e Storia dell’arte presso il Liceo scientifico di Cittanova e promotore dell’incontro. A lui abbiamo voluto rivolgere alcune domande per comprendere meglio quale potesse essere il rapporto tra Caravaggio, le opere di misericordia e la Calabria, in particolare la Diocesi di Oppido Mamertina – Palmi.

Prof. Anastasi, perché si è impegnato in questo progetto?

«Quest’evento, che si inserisce in un itinerario culturale tra le parrocchie della Diocesi,  ha le radici molto lontane nel tempo. Appena insediato in Diocesi, mons. Francesco Milito volle istituire con le scuole della piana di Gioia Tauro un accordo di Rete in cui ci si impegnava, Vescovo e dirigenti scolastici, ad incontrarsi per discutere e confrontarsi su tematiche relative al sistema scolastico e alla formazione integrale dell’uomo in modo da costituire una vera e propria comunità educante. A tali incontri partecipai in qualità di delegato per il mio istituto».

Da dove nasce questo progetto?

«Il progetto su Caravaggio nasce dall’incontro tra l’arte e Papa Francesco che, nel corso del V Convegno Ecclesiale di Firenze, ha delineato il percorso della Chiesa verso la riscoperta del vero umanesimo con obiettivo principale il recupero di tutto ciò che l’uomo fino ad oggi ha scartato, a partire dai poveri. E nell’arte non poteva essere chiamato in causa un personaggio come Caravaggio che nella sua vita è stato più volte scartato fino, addirittura, essere abbandonato nell’ora della sua morte. Nell’arte nulla viene scartato, tutto viene recuperare fino ad essere considerato “capolavoro”. Si pensi al riciclo del metallo diventato il “Cristo operaio” di Alejandro Marmo ora esposto ai Musei Vaticani».

Dalla cultura dello scarto alla cultura dell’inclusione afferma sempre Papa Francesco. Caravaggio può essere considerato un antesignano di questo concetto?

«Assolutamente si perché nei soggetti  che lui prende a modello ci sono coloro che la società non ha più voluto o che addirittura ha considerato inferiori, quindi insignificanti. Si pensi alla “Morte della Vergine”, il dipinto per il quale Caravaggio prende come “modella” un giovane prostituta gettata nel Tevere perché incinta. Non possiamo dimenticare le parole della Scrittura “La pietra scartata dai costruttori è divenuta la testata d’angolo”. Analogalmente i poveri diventato per noi un punto di partenza sul quale fondare ogni nostra attività cristiana».

Caravaggio e la Fede. Quale rapporto nell’opera delle “Sette opere di Misericordia”?

Facendo sintesi storica, Caravaggio arriva a Napoli agli inizi del 1600 da “latitante” potremmo dire, da fuggitivo perché da Roma dovette andar via in seguito ad un omicidio da lui commesso Si rifugia nella città partenopea sotto la protezione dei Carafa-Colonna e a lui viene commissionata una pala d’altare per la chiesa della Confraternita del Pio Monte di Misericordia. E qui avviene il miracolo-capolavoro dell’arte: Caravaggio inserisce le sette opere di misericordia corporale in un unico complesso spazio-temporale che consente all’osservatore di entrare in un’unica scena che prende movimento. Tutto parte dalla figura della Vergine Maria che dall’alto accompagna la scena attorniata da angeli con movimenti contrastanti. Da sinistra a destra: dare da bere agli assetati con Sansone che beve dalla mascella di un asino che già prima aveva usato in combattimento; un cavaliere con la conchiglia del pellegrino a significare l’accoglienza degli stranieri; un altro cavalieri che sulla falsariga di s. Martino divide il mantello con un ignudo; in basso la presenza di uno storpio che si ritrova “visitato” dalla totalità della scena. E nella rappresentazione della storia di Cimone, carcerato alimentato al seno della figlia, Caravaggio rappresenta il “dar da mangiare agli affamati” e il “visitare i carcerati”. Infine, lo sguardo si pone sul chierico che tiene in mano una torcia, a significare che la Chiesa è sempre presente laddove vi sono le povertà dell’uomo».
 
Rosario Rosarno

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