venerdì 29 Mar 2024

Il sangue di Natuzza disegno vivente di un mistero d’amore

«Se io dovessi descrivere la mamma, la descriverei con una parola: sofferenza». È il figlio Antonio a dirmelo parlando della sua grande Mamma Natuzza. Una Mamma che condivide con tanta gente di Calabria e anche oltre, tanto che non usa mai l’aggettivo possessivo alla prima persona singolare. È la mammao e qualche volta con coraggio diventa nostra mamma. Natuzza in effetti lo è per molti, per chi l’ha conosciuta e per chi la sta conoscendo adesso attraverso i libri che la raccontano, le canzoni che la descrivono, i quadri che la ritraggono e attraverso quell’anticipo di paradiso che è la spianata di Paravati, lì dove Natuzza ha posato la prima pietra per quello che diventerà sempre di più un luogo carico di preghiera. Certo si può pregare ovunque, ma ci sono luoghi che aiutano a quella predisposizione del cuore, che si apre ad accogliere il Verbo che si è fatto Carne. Carne viva, trattata come carne da macello, da quel popolo che ha scelto Barabba e ancora oggi, perché il mondo rinnova continuamente la crocifissione di Gesù.

E Mamma Natuzza come Maria sulla via della Croce, dignitosa e fedele, ha tanto amato Gesù da scegliere sempre le spine alle rose. Ha scelto di soffrire con Gesù, di caricarsi le afflizioni della Passione, per Amore. Natuzza ha fatto spazio sulla sua carne a quell’Amore che scaturisce dalla Croce. I giorni di Quaresima sono sempre stati per Mamma Natuzza dei giorni pieni del dolore del mondo e ogni Settimana Santa riviveva il mistero della Passione nel suo corpo crocifisso. Le stimmate a contatto con i fazzoletti, scrivevano preghiere e frasi anche in aramaico e dipingevano ostie, ostensori, rosari, corone di spine e cuori. Sul corpo di Natuzza i segni delle flagellazioni di Gesù erano vivi e donava il suo costato per quella ferita così lancinante dove lei faceva entrare l’Amore per tutti i giovani. Sempre il figlio Antonio mi racconta che Natuzza radunando i suoi giovani nipoti e facendo loro vedere il suo costato trafitto, segnandolo con il suo indice, diceva: «Qui dentro ci siete tutti voi».

Segni inspiegabili di un mistero di fede e di amore. Segni che non rendono Natuzza santa, non lo sarà per questi segni, come non lo sarà per i suoi colloqui con Maria e Gesù o per il dono delle lingue o della bilocazione, Natuzza sarà prima venerabile, poi beata e quindi santa anche per tutte queste cose insieme, ma unite dal fatto che lei ha sempre accolto e accettato la sofferenza, come ha accolto le folle di persone sofferenti che chiedevano a lei una carezza e il conforto nella preghiera. Si è caricata delle croci del mondo afferrando la Croce di Gesù. E se il misticismo è un punto delicato di una causa di canonizzazione, e non bisogna fermarsi solo a questi segni che non sempre sono elementi di santità, nel mistero dell’amore smisurato di Mamma Natuzza per Gesù, non possiamo non soffermarci in questa settimana santa alla sofferenza vissuta da Natuzza che Gesù ha trasformato in rifugio e liberazione per molti.

Gesù ama e trasforma. L’acqua in vino, il vino in sangue, il sangue e acqua in salvezza e noi in creature nuove se ci inginocchiamo sul Golgota della nostra vita, consegnandoci a Lui. A noi non ci è chiesto di offrire il nostro corpo per i Suoi chiodi, ma il Crocifisso ci chiede di toglierli lì dove siamo noi a infiggere dolore, a conficcare divisioni, a piantare solitudini, ad inchiodare cuori. Ci aiuti Mamma Natuzza, Serva di Dio, a vivere una  Pasqua di verità, ci aiuti a riconoscere Cristo negli ultimi, negli scartati, nei sofferenti e ci aiuti a leggere i disegni impressi col suo sangue come un invito accorato e amorevole alla nostra conversione. E riprendendo il numero 3 della premessa dello Statuto dei Cenacoli: “Diamoci con amore“.

di Nadia Macrì

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