martedì 19 Mar 2024

Stemma e Motto

Stemma di Mons. Giuseppe Alberti
Vescovo di Oppido Mamertina-Palmi

LO STEMMA

L’Agnus Dei, simbolo dell’innocenza e della mansuetudine, trova in Cristo il suo pieno compimento. Il Signore è l’Agnello immolato che dona la vita per i fratelli, modello di dono e di servizio di colui che ‘ama sino alla fine’. È l’Agnello pasquale che reca i segni della vittoria della Risurrezione. La conchiglia è segno del dono battesimale che attraverso l’acqua infonde vita nuova a chi la riceve con l’apertura della fede. Ricorda anche la prima evangelizzazione che sempre è chiamata a rinnovarsi in contesti di cambiamento come nuovo annuncio del Vangelo che libera e salva. Il mastio e la palma, congiunti, esprimono la realtà diocesana che unisce Oppido a Palmi. Più profondamente la torre esprime la forza di Dio che infonde stabilità e fermezza, difende e dona coraggio. La palma è sinonimo di vittoria, di rigenerazione e di immortalità. La stella rappresenta la figura di Maria che appare come segno luminoso nel cielo del mattino, aurora di speranza per la Chiesa in cammino. Le otto punte alludono alla pienezza che è Cristo risorto nell’orizzonte dell’umanità, modello di vita nella ‘magna carta’ delle beatitudini evangeliche. La croce unisce e sintetizza la simbologia araldica che trova nella Pasqua il suo inizio e il suo fine, il principio del-la creazione, il compimento della storia della salvezza.

BLASONATURA

“Inquartato d’azzurro e di rosso, alla croce diminuita d’oro: nel I all’agnello pasquale dal capo rivolto d’argento, nimbato d’oro alla croce potenziata di rosso, coricato sul libro dell’Apocalisse del penultimo, con sette pendenti (sigilli) d’argento, crocettati di rosso, tenente con le zampe anteriori un’asta cimata di una croce d’oro, posta in sbarra, di un vessillo bifido d’argento, alla croce di rosso; nel II alla conchiglia di san Giacomo d’argento; nel III al mastio al naturale, chiuso e finestrato di nero (7), con due torrette a due merli alla guelfa, caricato di un ramo di palma del primo, posto in banda; nel IV alla stella (8) d’oro. Lo scudo, accollato ad una croce astile trilobata d’oro e gemmata di rosso, è timbrato da un cappello di verde, con cordoni e nappe dello stesso, in numero di dodici, disposte sei per parte, in tre ordini di 1, 2, 3. Sotto lo scudo, nella lista bifida e svolazzante d’argento, il motto in lettere maiuscole di nero: “EUNTES ERGO EGO VOBISCUM SUM”.

ESEGESI

“L’uomo medievale (…) vive in una ‘foresta di simboli. L’ha detto sant’Agostino: il mondo si compone di ‘signa’ e di ‘res’, di segni, ossia di simboli, e di cose. Le ‘res’ che sono la vera realtà restano nascoste; l’uomo afferra solo dei segni. Il libro essenziale, la Bibbia, racchiude una struttura simbolica. A ciascun personaggio, a ciascun avvenimento del Vecchio Testamento corrisponde un personaggio, un avvenimento del Nuovo Testamento. L’uomo medievale è continuamente impegnato a ‘decifrare’, e questo rafforza la sua dipendenza dai chierici, dotti nel campo del simbolismo. Il simbolismo presiede all’arte e in particolare all’architettura in cui la chiesa è prima di tutto una struttura simbolica. S’impone in politica, dove il peso delle cerimonie simboliche come la consacrazione del re è considerevole, dove le bandiere, le armi, gli emblemi, hanno un’importanza fondamentale. Regna in letteratura, dove spesso assume la forma dell’allegoria”[i].

Gesti e simboli rimandano, quindi, a qualche cosa di più profondo: a un messaggio, a un valore, a un’idea che oltrepassa il segno stesso.

“Nella vita umana segni e simboli occupano un posto importante. In quanto essere corporale e spirituale insieme, l’uomo esprime e percepisce le realtà spirituali attraverso segni e simboli materiali. In quanto essere sociale, l’uomo ha bisogno di segni e simboli per comunicare con gli altri per mezzo del linguaggio, di gesti, di azioni. La stessa cosa avviene nella sua relazione con Dio”[ii].

“Il dotto e famoso araldista Goffredo di Crollalanza in Genesi e Storia del Linguaggio Blasonico (1876) tra l’altro scrive; ‘L’araldica ebbe la cavalleria per autore, il bisogno per movente, il trofeo per scopo, i tornei e le crociate per occasione, il campo di battaglia per culla, l’armatura per campo, il disegno per mezzo, il simbolo per ausiliare, il creato per materia, l’ideologia per concetto, il blasone per conseguenza. Ed aggiunge: ‘Il blasone non è l’illustrazione; come la mente non è l’anima, ma la manifestazione dell’anima”[iii].

“L’araldica è un linguaggio complesso e particolare costituito da una miriade di figure e lo stemma è un contrassegno che deve esaltare una particolare impresa, un fatto importante, un’azione da perpetuare.

Questa scienza documentaria della storia dapprima era riservata ai cavalieri e ai partecipanti ai fatti d’armi, sia guerreschi che sportivi, che si rendevano riconoscibili grazie allo stemma, posto sullo scudo, sull’elmo, sulla bandiera e anche sulla gualdrappa, rappresentante l’unico modo per distinguersi gli uni dagli altri.

L’araldica dei cavalieri venne quasi subito imitata dalla Chiesa, anche se gli enti ecclesiastici in periodo pre-araldico avevano già propri segni distintivi, tanto che al sorgere dell’araldica, nel secolo XII, tali figure assunsero i colori e l’aspetto propri di quella simbologia.

L’araldica ecclesiastica al nostro tempo è viva, attuale e largamente utilizzata. Per un prelato, tuttavia, l’uso di uno stemma deve oggi essere definito quale simbolo, figura allegorica, espressione grafica, sintesi e messaggio del suo ministero.

Occorre ricordare che agli ecclesiastici fu sempre vietato l’esercizio della milizia e il porto delle armi e per tale motivo non si sarebbe dovuto adottare il termine ‘scudo’ o ‘arme’ propri dell’araldica; tuttavia va detto che sino a tempi recenti gli ecclesiastici usavano il loro stemma di famiglia, molto spesso privo di qualunque simbologia religiosa.

La stessa simbologia della Chiesa Romana è attinta dal Vangelo ed è rappresentata dalle chiavi consegnate da Cristo all’apostolo Pietro.

L’araldica ecclesiastica al nostro tempo è viva, attuale e largamente utilizzata. Per un porporato, l’uso di uno stemma deve oggi essere definito quale simbolo, figura allegorica, espressione grafica, sintesi e messaggio del suo ministero”[iv].

Nel primo periodo gli stemmi ecclesiastici risultavano con lo scudo timbrato dalla mitria con le infule svolazzanti; con il passare del tempo si consoliderà, invece, alla sommità dello scudo il cappello prelatizio con i cordoni e i vari ordini di nappe o fiocchi, di diverso numero secondo la dignità, il tutto di verde se vescovi, arcivescovi e patriarchi, il tutto di rosso se cardinali di Santa Romana Chiesa.

Annotiamo, inoltre, che con “L’Istruzione sulle vesti, i titoli e gli stemmi dei cardinali, dei vescovi e dei prelati inferiori” del 31 marzo 1969, a firma del cardinale segretario di Stato Amleto Cicognani, all’art. 28 si recita testualmente: “Ai cardinali e ai vescovi è permesso l’uso dello stemma. La configurazione di tale stemma dovrà essere conforme alle norme che regolano l’araldica e risultare opportunamente semplice e chiaro. Dallo stemma si tolgono sia il pastorale che la mitra”[v].

Nel successivo art. 29 si precisa che ai cardinali è permesso di far apporre il proprio stemma sulla facciata della chiesa che è attribuita loro come titolo o diaconia.

Gli eccellentissimi e reverendissimi vescovi timbrano, infatti, lo scudo, accollato a una croce astile semplice (a una traversa), d’oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di verde. I fiocchi in numero di dodici sono disposti sei per parte, in tre ordini di 1, 2, 3.

Gli eccellentissimi e reverendissimi arcivescovi timbrano lo scudo, accollato ad una croce astile patriarcale d’oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di verde. I fiocchi, in numero di venti, sono disposti dieci per parte, in quattro ordini di 1, 2, 3, 4.

Gli eccellentissimi e reverendissimi patriarchi timbrano lo scudo, accollato a una croce astile patriarcale d’oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di verde. I fiocchi, in numero di trenta, sono disposti quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5 [vi].

Gli eminentissimi e reverendissimi signori cardinali di Santa Romana Chiesa timbrano lo scudo, accollato a una croce astile patriarcale d’oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di rosso. I fiocchi in numero di trenta sono disposti quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5.

L’origine e l’uso dei cappelli di verde, per i patriarchi, arcivescovi e vescovi, si vuole derivato dalla Spagna, dove, nel Medioevo, i prelati usavano un cappello di verde. Per tale motivo gli scudi dei vescovi, arcivescovi e patriarchi risultano timbrati con un cappello di verde.

Nel 1245, nel corso del Concilio di Lione, il papa Innocenzo IV (1243-1254) concesse ai cardinali un cappello di rosso, quale particolare distintivo d’onore e di riconoscimento tra gli altri prelati, da usarsi nelle cavalcate in città. Lo prescrisse di rosso per ammonirli a essere sempre pronti a spargere il proprio sangue per difendere la libertà della Chiesa e del popolo cristiano. Ed è per questo motivo che dal XIII secolo i cardinali timbrano il loro scudo con un cappello di rosso, ornato di cordoni e di nappe dello stesso colore.

Infine, l’eminentissimo e reverendissimo signor cardinale camerlengo di Santa Romana Chiesa porta lo scudo con lo stesso cappello degli altri cardinali, ma timbrato dal gonfalone papale, durante munere, ossia durante la sede vacante apostolica. Il gonfalone papale o stendardo papale, chiamato anche basilica, è a forma di ombrellone a gheroni rossi e gialli con i pendenti tagliati a vajo e di colori contrastati, sostenuto da un’asta a forma di lancia coll’arresto ed è attraversata dalle chiavi pontificie una d’oro e l’altra d’argento, decussate, addossate, con gli ingegni rivolti verso l’alto, legate da nastro di rosso.

Gli stessi colori di verde o di rosso vanno usati, altresì, nell’inchiostro dei sigilli e negli stemmi riportati negli atti, quest’ultimi con i previsti segni convenzionali indicanti gli smalti.

L’Antico e il Nuovo Testamento, la Patristica, i legendaria dei Santi, la Liturgia hanno offerto, nei secoli, alla Chiesa i temi più svariati per i suoi simboli, destinati a divenire figure araldiche.

Quasi sempre tali simboli alludono a compiti pastorali o di apostolato degli istituti ecclesiastici, sia secolari che regolari, oppure tendono a indicare la missione del clero, richiamano antiche tradizioni di culto, memorie di santi patroni, pie devozioni locali.

GLI SMALTI

Una delle norme fondamentali che regola l’araldica asserisce che chi ha meno ha più, con riguardo alla composizione degli smalti, figure e positure dello scudo.

E l’arme che ora andremo a esaminare è composta dai metalli oro ed argento e dai colori d’azzurro e di rosso, oltre che al naturale.

Cercare il proprio stemma, quindi, quello vero, da poter innalzare come vessillo, con il quale segnare le proprie carte, comprenderne compiutamente i simboli, non è, in qualche modo, cercare se stessi, la propria immagine, la propria dignità?

Ecco come un atto, che potrebbe essere letto solo formalmente, può acquisire invece un significato simbolico e fortemente pregnante.

D’oro, d’argento, d’azzurro e di rosso, quindi, sono gli smalti che figurano nello stemma dell’ecc.mo monsignor Giuseppe Alberti, ma quali simboli racchiudono e sprigionano tali smalti, quali messaggi ne derivano per l’uomo, spesso frastornato, giunto, oramai, al XXI secolo?

I “metalli”, di oro e d’argento, araldicamente rappresentano e ricordano le antiche armature dei cavalieri che, secondo il rispettivo grado di nobiltà, erano appunto dorate o argentate; l’oro, inoltre, è simbolo della regalità divina, mentre l’argento allude a Maria. Il “colore” d’azzurro ricorda il mare attraversato dai crociati per portarsi in Terra Santa, mentre il di rosso che era considerato, da molti araldisti, il primo fra i colori dell’arme, il sangue vivo versato dai crociati.

Addentrandoci più specificatamente nel simbolismo araldico degli “smalti”, ricordiamo che fra i “metalli”, l’oro rappresenta la Fede fra le virtù, il sole fra i pianeti, il leone nei segni zodiacali, luglio fra i mesi, la domenica fra i giorni della settimana, il topazio fra le pietre preziose, l’adolescenza sino ai vent’anni fra le età dell’uomo, il girasole fra i fiori, il sette fra i numeri e se stesso fra i metalli; l’argento rappresenta la Speranza fra le virtù, la luna fra i pianeti, il cancro nei segni zodiacali, giugno fra i mesi, il lunedì fra i giorni della settimana, la perla fra le pietre preziose, l’acqua fra gli elementi, l’infanzia sino a sette anni fra le età dell’uomo, il flemmatico fra i temperamenti, il giglio fra i fiori, il due fra i numeri e se stesso fra i metalli.

Fra i “colori”,  l’azzurro, simboleggia la Giustizia fra le virtù, Giove fra i pianeti, il toro e la bilancia nei segni zodiacali, aprile e settembre fra i mesi, il martedì fra i giorni della settimana, lo zaffiro fra le pietre preziose, l’aria fra gli elementi, l’estate fra le stagioni, la fanciullezza sino ai quindici anni fra le età dell’uomo, il collerico fra i temperamenti, la rosa fra i fiori, il sei fra i numeri e lo stagno fra i metalli, mentre il di rosso, la Carità fra le virtù teologali, Marte fra i pianeti, l’ariete e lo scorpione nei segni zodiacali, marzo e ottobre fra i mesi, il mercoledì fra i giorni della settimana, il rubino fra le pietre preziose, il fuoco fra gli elementi, l’autunno fra le stagioni, la virilità sino a cinquant’anni fra le età dell’uomo, il sanguigno fra i temperamenti, il garofano fra i fiori, il tre fra i numeri e il rame fra i metalli.

Il rosso: “é anche un ricordo dell’Oriente e delle spedizioni d’oltremare, come pure dimostra giustizia, crudeltà e collera. Ignescunt irae, disse Virgilio. Finalmente, siccome dagli antichi era consacrato a Marte, significa slanci d’animo intrepido, grandioso e forte. Gli Spagnuoli chiamano il campo rosso ‘sangriento’, ossia sanguinoso, perché richiama alla memoria le battaglie sostenute contro i Mori. Un nome analogo lo troviamo in Germania nel blütige Fahne, vexillum, cruentum, campo tutto rosso senza alcuna figura, che indica i diritti di regalìa, e si trova nell’armi di Prussia, d’Anhalt, ecc. Il rosso è coll’azzurro uno dei due colori più usati nel blasone; ma più frequentemente si trova nelle armi di famiglie borgognone, normanne, guascone, brettone, spagnuole, inglesi, italiane e polacche… Nelle bandiere il rosso rappresenta ardire e valore, e pare sia stato adottato in principio dagli adoratori del fuoco”[vii].

Figura anche “al naturale” che è “una figura riprodotta con il suo colore naturale (ossia come si presenta in natura) e non come uno smalto araldico”[viii].

Ci preme evidenziare che fu necessario, altresì, creare dei segni convenzionali per comprendere e individuare gli “smalti” dello scudo, quando lo stemma risulta riprodotto nei sigilli e nelle stampe in bianco e nero. Così gli araldisti, nel tempo, usarono vari sistemi; ad esempio, scrissero nei vari campi occupati dagli smalti, l’iniziale della prima lettera corrispondente al colore dello smalto, oppure individuarono i colori con l’iscrivere le prime sette lettere dell’alfabeto o, ancora riprodussero, sempre nei campi dello smalto, i primi sette numeri cardinali.

Nel XVII secolo, l’araldista francese Vulson de la Colombière propose, invece, dei particolari segni convenzionali per riconoscere il colore degli smalti negli scudi riprodotti in bianco e nero. L’araldista padre Silvestro di Pietrasanta della Compagnia di Gesù, per primo, ne fece uso nella sua opera Tesserae gentilitiae ex legibus fecialium descriptae, diffondendone, così, la conoscenza e l’uso.

Tale sistema di classificazione, tuttora usato, identifica il rosso con fitte linee perpendicolari, l’azzurro con orizzontali, il verde con diagonali da sinistra a destra, il porpora con diagonali da destra a sinistra, il nero con orizzontali e verticali incrociate, mentre l’oro si rende punteggiato e l’argento senza tratteggio.

Per rappresentare il colore “al naturale” alcuni araldisti prevedono altri segni convenzionali, ma intendiamo sposare la tesi dell’araldista Goffredo di Crollalanza dove, per il colore “al naturale”, dopo aver ricordato che si può porre sopra metallo e sopra colore indifferentemente, senza ledere la legge della sovrapposizione degli smalti, chiarisce che si esprime nei disegni lasciando in bianco il pezzo e ombreggiando la figura nei luoghi acconci [ix].

Dello stesso avviso è stato anche l’insigne araldista arcivescovo mons. Bruno Bernard Heim, che negli stemmi pontificali dei Papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo I da Lui ideati, in quelli riprodotti in bianco e nero, nel capo patriarcale di Venezia raffigura il leone marciano senza alcun segno convenzionale, alla presenza di un capo tra i più famosi e belli.

LE FIGURE

Agnello pasquale (Agnus Dei)

In araldica, l’agnello è simbolo di innocenza e mansuetudine. In campo religioso è stato simbolo, oltre che di Gesù, degli Apostoli, dell’Eucaristia, della castità e dei Martiri.

“L’agnello, entrato nella Liturgia come simbolo di Cristo, si incontra nell’inno Gloria in excelsis, al momento della comunione nella Messa con la triplice ripetizione dell’Agnus Dei e soprattutto nella Liturgia di Pasqua”[x].

“L’agnello di Dio simboleggia Cristo già nelle catacombe romane; nell’iconografia bizantina, a partire dal Concilio di Trullo della fine del sec. VII, si vietò di raffigurare Cristo come agnello. In Occidente, invece, l’agnello pasquale che trionfa e sorregge la bandiera della vittoria sulla morte è un simbolo popolare della Resurrezione, impiegato in qualità di amuleto quando viene fabbricato con cera benedetta”[xi].

Conchiglia di san Giacomo

La conchiglia, in araldica, simboleggia la concordia e l’unione[xii], oltre che l’amore e la nascita. Usato quale utensile, sin dai primordi, nelle cerimonie del sacramento del Battesimo, per cospargere d’acqua il capo di colui che riceveva tale sacramento, divenendone un simbolo.

Nei miti greci e romani le conchiglie erano un simbolo di prosperità, di rinascita e, se associate al mare, indicavano la fonte della fertilità. Tutti proveniamo dal mare e la conchiglia riporta all’idea del grembo materno e della nascita dell’umanità.

Infatti “il simbolismo cristiano (…) considerò il guscio della conchiglia come immagine della tomba che raccoglie l’uomo dopo la morte, prima della resurrezione”[xiii].

L’appellativo di conchiglia di san Giacomo nasce da un antico racconto popolare, dove si narra che i discepoli del santo, quando approdarono sulle coste della Galizia, dove vi avevano trasportato dall’Oriente i resti mortali dell’Apostolo, trovarono il sarcofago interamente ricoperto dalle valve di questo mollusco.

Sempre tale conchiglia – che si pesca nelle coste della Galizia – divenne il simbolo del “Cammino di Compostela”[xiv]. All’inizio era un premio per aver concluso con successo il pellegrinaggio alla tomba di san Giacomo, e unica prova di tale viaggio, dato che la vendita era proibita in altri luoghi che non fossero Santiago.

Mastio

“Parte fortificata di costruzioni militari in forma di robusta torre. Solitamente rappresenta la parte centrale e più elevata del castello. Non è sinonimo di torre né di torrione”[xv].

Palma

“La palma, il ramoscello, il ramo verde sono universalmente considerati come simboli di vittoria, di ascensione, di rigenerazione e di immortalità”[xvi].

Il mastio, in araldica, simboleggia la forza di Dio, mentre la palma, il martirio. Nello stemma di Mons. Alberti, sono un riferimento al territorio di Oppido Mamertina e di Palmi.

Stella

 “Nelle sculture sui sarcofaghi del primo cristianesimo, sulle lampade e sulle gemme, le stelle simboleggiano l’eterna beatitudine. La stella a sei punte è spesso nell’arte un simbolo mariano; i due triangoli che si intersecano alludono al ruolo di Maria, mediatrice fra cielo e terra”[xvii].

La stella, secondo la dotta scienza documentaria dalla Storia che è l’araldica, simboleggia la mente rivolta a Dio, la finezza d’animo e azioni sublimi, senza dimenticare Maria, la Madre di Dio, che è chiamata anche la stella del mattino. Nell’araldica ecclesiastica la stella maggiormente usata è quella ad otto raggi che rappresenta il Salvatore, senza dimenticare le otto beatitudini evangeliche, pur riscontrandosi anche scudi prelatizi con stelle a sei punte.

Possiamo ancora affermare che l’otto “è il numero della resurrezione del Salvatore, ma anche quello di tutta l’umanità”[xviii].

Come l’uomo, così il simbolo è anche ciò che è stato per essere autenticamente ciò che sarà.

Necessita quindi fare memoria e speranza di questa sorgente ricchissima e inesausta, a cui è possibile attingere ancora per il nostro oggi.

7 Ottobre 2023

Nella solennità della B.V.M. Regina del santo rosario

Giorgio ALDRIGHETTI


[i] Jacques Le Goff, L’uomo medievale, B ari 1994, p. 34.

[ii] Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano 1999, p. 335.

[iii]  A. Cordero Lanza di Montezemolo – A. Pompili, Manuale di Araldica Ecclesiastica, cit., p. 18.

[iv] P. F. degli Uberti, Gli Stemmi Araldici dei Papi degli Anni Santi, Ed. Piemme, s. d

[v] da L’Osservatore Romano, 31 marzo 1969.

[vi] L’araldista Sua Ecc.za Rev.ma mons. Bruno Bernard Heim per lo stemma patriarcale così recita: “I patriarchi ornano il loro scudo con un cappello di color verde dal quale scendono due cordoni pure verdi che terminano in quindici fiocchi verdi per ciascun lato”. (B. B. Heim, L’Araldica della Chiesa Cattolica, origini, usi, legislazione, Città del Vaticano 2000, p. 106.).

[vii]  G. Crollalanza (di), Enciclopedia araldico-cavalleresca, Pisa 1886, pp. 516-517, voce Rosso.

[viii]  L Caratti di Valfrei, Dizionario di Araldica, Milano 1997, p. 18, voce al naturale.

[ix] A. Cordero Lanza di Montezemolo – A. Pompili, Manuale di Araldica Ecclesiastica, cit., p. 28, voce Al naturale.

[x]  M. Lurker, Dizionario delle Immagini e dei Simboli Biblici, p. 6, Milano 1990, voce Agnello.

[xi]  H. Biedermann, Enciclopedia dei simboli, Milano 1991, p. 13, voce Agnello.

[xii]  L Caratti di Valfrei, Dizionario di Araldica, cit., p 62, voce Conchiglia.

[xiii]  H. Biedermann, Enciclopedia dei simboli, cit., p.134, voce Conchiglia.

[xiv] “Il Cammino di Santiago ha un profondo significato religioso; infatti nacque come pellegrinaggio in onore dell’Apostolo Giacomo il Maggiore, i cui resti sono conservati nella cattedrale della città di Santiago di Compostela”.

[xv] C. Tibaldeschi, DIZIONARIO ARALDICO IAGI, Milano 2020, p. 266. voce Maschio.

[xvi]  J. Chevalier – A. Gheelbrant, Dizionario dei simboli, Milano 1994, vol. secondo, p. 180, voce Palma.

[xvii] M. Lurker, Dizionario delle Immagini e dei Simboli Biblici, cit., pp. 204-205, voce Stelle.

[xviii]  M. Feullet, Lessico dei simboli cristiani, Roma, 2007, p.81, voce Otto.