Don Vittorio Castagna, come nasce questa missione di pace in Iraq?
«Abbiamo realizzato un sogno che affonda le sue radici nel 1999, quando Giovanni Paolo II aveva deciso di fare un pellegrinaggio in Iraq in vista dell’Anno del Giubileo del 2000, ma la guerra non lo permise. L’iniziativa si inserisce nei ‘gesti profetici’ che l’Opera Romana Pellegrinaggi da anni sta proponendo per portare coraggio e speranza a chi vive in determinati luoghi. Prima della partenza Papa Francesco ci ha incontrati ed ha benedetto le reliquie che abbiamo consegnato a Bagdad».
Quindi un incontro ‘istituzionale’?
«Potrà sembrare istituzionale, ma di fatto questo pellegrinaggio guidato da monsignor Andreatta, responsabile dell’Opera Romana Pellegrinaggi, ha avuto come obiettivo quello di consolidare i necessari rapporti per poter avviare pellegrinaggi spirituali con quanti desiderano giungere nella Casa di Abramo. Il ‘rischio’ di questo procedere istituzionale è di fatto un percorso ed un servizio a quanti un giorno vorranno giungere in Iraq». Perché noi dobbiamo essere portatori di pace, di fede, di dialogo. Queste sono le nostre armi e queste coincidono con quelle dei cristiani iracheni. Mi fa piacere ricordare che il nostro pellegrinaggio si è intrecciato con quello dei sciiti, segno che dove c’è Dio, è possibile camminare insieme, mano nella mano, guidati dagli stessi valori. Attraversando il fiume Eufrate, abbiamo infatti notato che molta gente è in cammino verso Karbala, per venerare la tomba del genero di Maometto. I pellegrini avevano diritto al riposo nelle tende e ai pasti, gratuitamente. Sempre scortati e facilitati nei nostri passaggi, noi siamo giunti a Ur, la casa di Abramo. La prima cosa che abbiamo visto è lo Ziggurat, il tempio religioso costruito del paese.
Come siete stati accolti?
«Siamo stati accolti con gentilezza, generosità e amore».
Può accennarci la situazione in Iraq?
«Ricordo le parole del vescovo di Bassora, il quale rispose con queste termini alla domanda di un giornalista, durante una conferenza. ‘Come vivete qui, quali fatiche, difficoltà?’. Il vescovo disse che gli iracheni cristiani cercano di fare le cose bene. Pensate all’Italia e al Parlamento, dove sono i cristiani? Ecco, anche noi dobbiamo rispondere a questa domanda, abbiamo il Vangelo e noi dobbiamo e vogliamo vivere qui. Noi vogliamo vivere il Vangelo nella terra, dove Dio ci ha voluti. In aprile ci saranno le elezioni, al governo chiederemo prima di tutto gli interessi degli iracheni. L’interesse del popolo. Le strade, attualmente, sono dissestate, ha ricordato lo stesso vescovo, ma l’Iraq è pieno di petrolio. Come fa un Paese come questo a non assicurare le strade al suo popolo? Da questo la gente capisce che non è rispettata come dovrebbe. Noi chiediamo sicurezza, e poi lavoro per i giovani. Come attaccarsi, appassionarsi al Paese se non c’è sicurezza? Se non c’è lavoro? Se il Paese stesso non ti aiuta?».
Don Castagna, in Iraq, si sente la presenza del mondo cristiano o quella ‘aggressiva’ dei musulmani?
C’è una forte concentrazione di cristiani. Cristiani e islam vogliono vivere insieme e possono vivere insieme, questa collaborazione è fondamentale per la pace. Non vi è nessuna aggressività da parte dei musulmani. Mohammed Mahli, Imam, membro del Parlamento iracheno, ci ha raccontato che il rapporto tra Islam e Cristianesimo, è improntato sul rispetto reciproco e il dialogo. Tutti siamo fratelli. C’è una base che ci accomuna, ed è l’essere fratelli di questa umanità, aggiungendo che il Corano è in sintonia con i principi e i valori dell’umanità».
Su quale aspetto richiamerebbe l’attenzione dei nostri fedeli?
Sulle vittime degli attentati. A Nassyria, dove nel 2003 persero la vita i nostri soldati italiani. In quel luogo del dolore, dove non c’è una targa ricordo, abbiamo piantato un ulivo, per dire a tutto il mondo che si desidera la pace. L’ulivo sarà annaffiato con l’acqua del vicino Eufrate, perché resti umani dei soldati sono stati trovati anche nel fiume, data la potenza dell’esplosione. Dopo Nassyria ci siamo recati a Najaf, la seconda città sacra per i mussulmani sciiti. In prossimità delle paludi, presso il nuovo Mauselo, costruito nel 2010 abbiamo ricordato le vittime di Suddam Hussein. All’interno una mostra fotografica immortalava le violenze subite dalla popolazione. Preghiamo per loro».
Dove ci porta questo viaggio?
«A tre sentimenti profondi: amore verso l’unico Dio e verso tutti i fratelli, la fede in Dio nel comune padre Abramo, profonda preghiera per la pace. Ci siamo mescolati insieme ai pellegrini musulmani con questi sentimenti. Mi auguro che il nostro primo pellegrinaggio possa portare altri pellegrini in Iraq per costruire un Paese sicuro e in pace. Solo così possiamo costruire la nuova civiltà dell’amore».
Che significato ha assunto questa esperienza nella sua vita sacerdotale?
«Non dobbiamo arrenderci. Dobbiamo operare per il dialogo, invocando Dio perché ci infonda il suo amore. Siamo andati via col cuore colmo di gioia e soddisfazione, convinti che il segno profetico ha lasciato un segno in noi e in loro. Il segno che ha esaudito un sogno, quello di papa Giovanni Paolo II ed ha contagiato l’Opera Romana Pellegrinaggi, che dal prossimo anno proporrà un pellegrinaggio in Giordania e Iraq, toccando i luoghi di Abramo, la Babilonia, culla delle religioni, ma anche la culla dell’alfabeto e del diritto, il palazzo di Nabucodonosor e la tomba del profeta Ezechiele. Un modo per aiutare, anche economicamente, i cristiani che vivono lì, ma soprattutto per dare una testimonianza di incoraggiamento e speranza».
Kety Galati
In allegato il reportage