Profonda commozione hanno vissuto i fedeli della Comunità parrocchiale dei Santi Apostoli Pietro e Paolo di Taurianova che nei giorni 5 e 6 gennaio hanno ricordato il X anniversario della morte di don Pietro Franco con numerose iniziative con il momento culminante della solenne concelebrazione eucaristica presieduta da S. Ecc. Mons. Francesco Milito la sera del 5 gennaio alle ore 18.00, una celebrazione che ha visto la partecipazione commossa di numerosi sacerdoti, diaconi e fedeli che si sono voluto stringere intorno al fratello, don Alfonso, per rendere un doveroso omaggio al suo compianto fratello.
E sua Ecc.za nell’omelia ha fatto subito riferimento alle circostanze della morte di don Pietro notando come chiaramente nel vivere la festa dell’Epifania con l’animo nella mestizia e nella tristezza nel ricordo di quell’evento, c’è sempre una specie di stridore, come quello di 10 anni fa, che risuona come una lacerazione dell’anima perché un fratello che viene a sapere dell’improvvisa dipartita di un carissimo fratello, una comunità cristiana che all’improvviso viene raggiunta da una notizia così repentina, lo stesso suo modo di lasciare questo mondo al termine di celebrazione eucaristica sull’altare del Signore, sono tutti elementi che 10 anni fa come questa sera, sembrano fare stridore con questa atmosfera di festa, in questi giorni in cui tutti sembrerebbe che dovessimo dire alla morte: per alcuni giorni fermati, stai lontano, non ci rovinare la festa.
Eppure, ha considerato il Vescovo, forse tante morti non possono essere così belle come quella che ha interessato don Pietro Franco perché morire ai piedi dell’altare del Signore, morire già nelle luci dell’Epifania non significa altro che dare alla vita una luce, la stessa dell’Epifania, che ci fa comprendere meglio la stessa vita.
I Magi che vanno in cerca del Signore e lo trovano, e la stella che li conduce ci dicono che il Signore conduce sempre dove vuole essere trovato. Ma come quel giorno i Magi hanno avuto la manifestazione piena di ciò che avevano intuito o cercato per tutta la vita, e quell’intuizione era diventata per loro manifestazione, epifania, apparsa per loro in tutto il suo splendore nella piccolezza del Bambino, e quindi epifania di Dio per loro, incontro di loro con Dio, così avviene quando noi chiudiamo gli occhi a questo mondo e ci troviamo al cospetto del Signore. Ogni vita cammina sempre verso la conquista, verso l’incontro autentico con il Signore e anche se si comprende la difficoltà di capire, scoprire la presenza di Dio negli eventi della vita e ciò non facilita questo incontro diretto, “quante volte – sì è domandato il Vescovo – verrebbe la voglia di dire: “O Signore, quando ti incontrerò realmente? Quando terminerà un itinerario di vita che per quanto bella è, quanto difficile e irta di difficoltà è pure? E non avviene questo quando i nostri occhi si chiudono alla scena di questo mondo e Dio si mostra a noi in tutta la sua grandezza?”. Per don Pietro dieci anni fa di questo si è trattato, si stava preparando alla celebrazione di una solennità con la sua comunità e si è trovato a vivere questa solennità al confronto e al cospetto di Dio.
Allora – ha considerato S. E. – si comincia a stemperare quell’insieme di sentimenti che per l’umanità che abbiamo tende al dolore, al pessimismo, all’interrogativo, spesso al dubbio drammatico sulla fede per cedere il posto al dire: “Signore, quanto sei grande nei tuoi disegni e come a chi ti ha cercato, tu hai offerto a lui la tua presenza”. Quella sera, in Paradiso, l’incontro di don Pietro con il Signore è stato veramente il compimento, la sua festa di Natale. Veramente egli nel Natale del Figlio, è nato al Natale dell’eternità. “Possiamo dire – ha affermato il Vescovo – che festa più bella non poteva passare, anzi vivere definitivamente nella sua esistenza. E questa non è un’amara consolazione, ma una lettura che nella fede noi troviamo estremamente pertinente se è vero che il cammino della vita, tendendo verso l’incontro con il Signore, quando quest’incontro effettivamente c’è, possiamo dire che la vita è completamente realizzata, così come la ricerca dei re Magi, arrivati a contemplare quel Re, ha rappresentato per loro la sintesi, la pienezza del loro procedere. E’ questo il grande mistero di vita che celebriamo questa sera, l’incontro di un Re Magio che ha cercato il Signore, l’ha trovato e con lui sempre è restato”.
Poi una considerazione sul ministero di don Pietro riflettendo che i Magi sono stati condotti da una stella e la stella indica tutti quei segni che Dio pone nella nostra vita perché noi lo possiamo raggiungere. Ma chi è accompagnato da questa stella, diventa egli stesso nel cammino della vita stella indicatrice del Signore per gli altri. Nessuno incontra il Signore veramente e non diventa evangelista, nessuno contemplando i misteri della sua vita terrena, può restare in silenzio: i pastori lo hanno visto e lo hanno annunciato, Maria lo ha portato nel silenzio iniziale, ma poi certamente ha spiegato il Mistero del suo Figlio, lo stesso san Giuseppe non poteva non parlare di questo Figlio. I Magi certamente avranno parlato di questo evento particolare. Un sacerdote diventa in questa luce un Magio illuminato dalla stella ma egli stesso diventa stella per gli altri. Cosa fa un sacerdote durante la sua esistenza se non, fedele al suo mandato di essere inviato, con tutti i limiti, con tutti i peccati, cosa fa se non essere una stella per gli altri? Non ci si rivolge a lui per essere condotti a incontrarsi con il Signore? Non si chiede a lui un parere, un consiglio, non si confidano a lui tante pene dell’anima? Quando c’è un sacerdote che ascolta un confratello, che ascolta un fedele, un sacerdote che ascolta e annuncia, che cos’è se non una stella che ti dice: seguimi, troverai il Signore! E chi è un Magio che diventa stella se non uno che difende la stessa persona di Gesù e lo fa illuminato dall’alto? Che cos’è il sacerdote se non chi viene aiutato dall’alto a non esporre il Signore, al ludibrio, alla vendetta, alla distruzione? I Magi non hanno offerto ad Erode, illuminati dall’alto, le informazioni che egli voleva ( per altra via fecero ritorno..) salvando quel Bambino, collaborando così al disegno del Padre, che comunque non avrebbe permesso quel deicidio a pochi giorni dalla nascita del Bambino. Il sacerdote questo è: cerca di aiutare chi a lui si rivolge perché il Signore non venga depredato, ucciso, messo da parte. E anche se si deve attirare odi, inimicizie, soprattutto da chi conosce ad arte le arti della malignità, egli fa di tutto perché il Signore possa essere conosciuto, amato, adorato.
Alla fine di queste considerazioni S. E. si è domandato: “Qual è il risultato previo? Che la stella scompare, che i Magi tornano a casa, ma il messaggio che essi danno prosegue nel tempo. Quella luce e quei Magi, a distanza dei secoli, dicono di questa ricerca del Signore, di come lo hanno trovato, di come lo hanno difeso. Così è anche per un sacerdote: resta ciò che egli ha compito. In ogni chiesa particolare, mai la vita di un prete, soprattutto quando è stata impegnata, come quella di don Franco, passa e scompare. E non solo i ricordi si portano dentro, ma si portano dentro l’esempio, l’opera, il servizio che lui ha dato, perché tutti i sacerdoti lasciano nel cielo una scia di luce, ogni sacerdote è posto in cielo a indicarci qualcosa. E’ il ricordo di queste testimonianza eterne che ci dà il senso della venerazione, della preghiera, del grazie al Signore. Pregare per i sacerdoti, più che un dovere, è un’esigenza dell’animo, il dire grazie è proprio degli spiriti sensibili, riconoscenti, spiritualmente educati e fini. Ecco in che cosa consiste il dono e il regalo che 10 anni fa non poteva essere letto in quest’ottica, mentre oggi noi vediamo la luce bellissima di quell’evento”.
Nella messa dell’Epifania, dopo la lettura della parola di Dio, si ascolta l’annuncio della Pasqua, centro di tutto l’anno liturgico. Questo ci aiuta a ripensare che il centro della vita è Cristo, morto, sepolto e risorto. Ecco perché se tutti gli eventi della nostra vita, personali, sociali, ecclesiali e comunitari, non si riferiscono a quell’evento, siamo fuori dal cristianesimo e se la Chiesa proprio di fronte a un Bambino appena nato fa quest’annuncio, se ci dice che nel mistero pasquale troviamo il senso della nostra vita e della nostra morte, allora vuol dire che Natale è già Pasqua, quel Bambino è già crocifisso: non per niente nella teologia dell’arte spesso il bambino Gesù è rappresentato con accanto gli strumenti della morte, non per fare una mistura di cose che guastano stano la festa, ma per capire in profondità il senso della festa. Oggi, Epifania, è già Pasqua perché viviamo quella manifestazione che ci fa gustare il Natale del Signore e in lui tutti i natali che sono i giorni della nostra morte.
Avviandosi alla conclusione il Vescovo ha aggiunto: “Questa sera è un momento molto intimo, molto bello per i confratelli che si uniscono intorno a don Alfonso, per tutta la comunità che si ritrova con i suoi sacerdoti, molto bello per don Pietro perché da allora lui vive in quella dimensione che il Magi avevano cercato e che ogni anima cristiana persegue. E qui che si ricompone la visione più ampia della fede che ci permette di dire: “Ecco, don Pietro, tu sei già arrivato, stai contemplando il Natale e la Pasqua del Signore, ottieni a noi che ti abbiamo conosciuto, seguito, di leggere sempre ogni evento in questa luce e se così è, fisicamente lui non c’è più, ma in mezzo a noi continua quel ministero sotto l’ala dell’illuminazione e della consolazione. E noi abbiamo in questa circolarità del mistero cristiano la pienezza del senso della nostra vita. Allora questa sera la nostra preghiera, il dire grazie al Signore nell’Eucaristia, per lui, per tutti i sacerdoti, per tutti quelli che egli ha condotto: è un grazie comunitario, è una vera eucaristia, la stessa che don Pietro ha celebrato l’ultima volta e che l’ha introdotto dalla mensa di questa terra al banchetto eterno del cielo. E così sia”.
Cecè Caruso