“Canterò senza fine l’amore del Signore…i cieli cantano le tue meraviglie, Signore”: sono alcuni versi del salmo responsoriale ripresi dal vescovo, mons. Francesco Milito durante l’omelia della messa celebrata sabato 25 aprile, nella Basilica della Madonna dei Poveri in Seminara alla presenza dei cori polifonici provenienti da diverse città della regione per il loro tradizionale Raduno, versi che ci ricordano che il linguaggio dell’universo è un linguaggio in canto.
Infatti l’armonia propria della musica è armonia del creato perché in Dio tutto è concerto di sintesi verso l’essere e se per tutto il cosmo esiste una perfetta sintonia del creato che rende lode al Signore così le nostre voci si fanno per quanto possibile eco di questo creato.
“Ma – ha osservato il vescovo – il cosmo che canta la gloria di Dio e l’uomo che canta la sua misericordia fanno un solo coro, ed è il coro pasquale, perché se il canto è il linguaggio dell’anima, la Pasqua che è la festa dell’anima andrebbe solo cantata. Volessimo essere precisi, dovremmo in qualche modo supporre e desiderare che le parole dal mattino di Pasqua alla Pentecoste siano state dette in canto, cantate”. Così per gli angeli che annunciano la tomba vuota e il morto che è risorte ed è vivente; per Maria che chiede che fine ha fatto quel corpo e per il Signore, non conosciuto, che le risponde; per i discepoli di Emmaus che nella disperazione più nera chiedono spiegazioni e il Signore, che è il capo coro della creazione e della redenzione che risponde loro; e così nel Cenacolo per il saluto del Signore e la risposta di quelli che erano presenti quel giorno e otto giorni dopo, insomma per quelle parole che i vangeli ci riportano nei vangeli di Pasqua.
Proprio perché il canto è il linguaggio dell’anima e dell’anima redenta, di chi ha scoperto in sé che “grandi cose ha fatto il Signore” per esso: ecco perché in altre parti della Scrittura noi meditiamo “In eterno canterò le tue misericordie”. Sì, il canto è il linguaggio dell’anima ed è per questo che appartiene all’eternità ed è per questo che nel tempo quando cerchiamo di imitare quell’eternità, abbiamo quella bellezza di voci che diventa polifonia nella diversità delle qualità e nella sintesi che ci fa vivere dimensioni diverse.
Il vescovo si è domandato: “Che cos’è un coro polifonico?” Un paradigma dell’umanità. Le voci sono diverse pur se ben catalogate: ognuno canta secondo il proprio specifico, ma è nell’insieme che si ritrova la bellezza. Eppure dinanzi a Dio ognuno canta per come sente, ognuno canta per come può. Anche noi siamo così dinanzi al Signore: abbiamo caratteristiche comuni, si parla di affinità, di identità, ma uno di noi non è uguale all’altro, una nostra voce non è uguale all’altra e al Signore sale la preghiera di ciascuno, la voce di ciascuno come diversi siamo; e a rendere questa diversità unità è lui perché è lui l’ispiratore della musica, l’autore del canto. Per questo quando si prega cantando e si vuole cantare per ben pregare avvertiamo una dimensione nuova. Per questo quando siamo nella casa del Signore, la tenda dell’Alleanza, il luogo del culto, noi entriamo pienamente nel linguaggio di Dio e altre voci non dovrebbero essere presenti, altri disturbi dovrebbero restare fuori, perché o si prega e dentro c’è giubilo, o si è distratti e neanche si è prestatori d’opera, fosse pure della propria voce. “Noi cantiamo – ha aggiunto il vescovo – perché sappiamo che ormai per sempre l’inno che sale al Signore è un inno di lode attraverso il suo Cristo”. Ecco perché tutta la polifonia è Cristo che canta a Dio la lode per sempre, ecco perché il ministero del cantore è un ministero prettamente ecclesiale, perché dando ciò che la natura, il Signore, ha regalato, agli altri, si permette di vivere una dimensione che ha dell’eterno e che quindi va oltre il tempo. “Per questo abbiamo bisogno – ha detto il vescovo – di liturgie ben preparate e ben eseguite, perché o usciamo dalla chiesa con il cuore e la mente ricchi dell’aver gustato il Signore, oppure abbiamo perso il tempo proprio laddove, in Chiesa, il tempo diventa per eccellenza ricco di eternità”. Ancora una domanda: Che cos’è un coro polifonico, cos’è l’insieme dei canti? Un unico cantore, il Signore Gesù, e tutti i canti nati dall’arte dei musicisti ed eseguiti dall’arte dei coristi, un continuo e permanente preconio pasquale, un esultare nel Signore per i grandi benefici che ha fatto. Ecco perché “in eterno canterò la tua misericordia”: quello che Dio è per sua definizione e natura, la misericordia, l’uomo lo può dire cantando e siccome eterna è questa misericordia, ecco perché questo canto non ha fine.
Il vescovo ha per questo invitato i presenti a considerare questo raduno annuale un atto profondo di fede, momento di consolazione che ci aiuta a vedere nelle croci di ogni giorno, nelle sofferenze e nelle difficoltà, il desiderio di vivere nell’esultanza dello Spirito. E in quest’ottica il grazie tra noi diventa un grazie della Chiesa per come questi nostri fratelli fanno questo ministero per farci pregare e per mezzo del quale noi impariamo a pregare veramente.
Un riferimento al vangelo, questa bella eterna notizia del Signore Gesù che l’autore affida ad uno scritto che è uno spartito musicale, essendo il Vangelo l’annuncio della Pasqua del Signore, della sua opera di salvezza, e che per questo nella lingua di Roma e di Oriente, andrebbe sempre proclamato con il canto.
Ricorrendo il 25 aprile la festa della Liberazione il vescovo ha notato come ci sia un collegamento fortissimo con quanto da lui detto con tale festa: “Chi è schiavo – ha detto il vescovo – chi soffre, non canta, si lamenta, semmai piange; chi dentro è libero ed è liberato, esprime questo con il canto. Quando 70 anni fa, nella nostra Italia, giunse finalmente quel giorno tanto desiderato, forte è scoppiato il canto nelle forme del genio del nostro popolo, come segno di festa, dopo tanti momenti di paura, di lutto e di sofferenza. Canta l’uomo libero, canta l’uomo liberato e perché questo avvenga è necessario che le corde vocali siano veramente libere: così è per l’anima cristiana quando veramente eleva il canto al Signore, perché veramente si sente con le corde vocali dello spirito in grado di farlo”.
Il vescovo a questo punto ha invitato i presenti a chiedere al Signore “di fare della nostra vita un canto permanente, nuovi come siamo da creature in Cristo, in cammino come siano per cantare un canto nuovo, unendoci all’immenso coro dell’universo che canta al Signore, stretti in un vincolo di comunione fraterna. Questo deriva direttamente dall’essere cristiani nati a creature nuove in Cristo”. E per questo il richiamo alla prima lettera di San Pietro, di stare attenti perché “il diavolo, come leone ruggente, va in giro, cercando chi divorare”: così noi, mentre siamo creature nuove, destinate a cantare la misericordia di Dio, abbiano da difenderci da chi vorrebbe guastare questo, il male, il peccato. E questo è ancora un Exultet, preconio pasquale perché ci ricorda che l’antica colpa è stata completamente assorbita dalle grazie del Signore.
Concludendo il vescovo ha ringraziato tutti i presenti affermando che il grazie ai cori provenienti dalle varie province, diventa spinta a fare della nostra vita quel canto silenzioso ma sincero verso il Signore per la bellezza che fa di noi, in modo che questa non sia per noi una rassegna ma una realtà da vivere permanentemente e questo giorno della Liberazione il senso profondo di essere in Cristo, l’Agnello immolato, creature nuove che cantano in eterno le lodi del Signore.
Rosario Rosarno