“Dalla musica, metafora della vita, linguaggio dell’anima, alla poesia – così ha introdotto la serata il nostro vescovo, mons. Francesco Milito – anch’essa linguaggio dell’anima, perché essa ha bisogno di affinità molto intense”. Per questo le poesie di Karol Wojtyla, sempre attento ai sentimenti dell’anima, scritte tra il 1950 e il 1975, tre anni prima di essere eletto papa, che ripropongono i sentimenti, le passioni, le gioie e i dolori dell’uomo destinato a diventare Papa. Poesie che ci pongono di fronte al percorso spirituale di questo uomo, diventato santo, a partire dallo sguardo iniziale e intenso sulla natura per arrivare a Dio, con la poesia, la musica e l’arte in generale che sono tutti veicoli per raggiugere Dio.
Lo “Splendore dell’acqua” questo il titolo della raccolta da lui pubblicata nel 1950 da cui sono stati tratti i frammenti proposti questa sera e che non riusciremmo a far godere nella loro bellezza perché per farlo avremmo dovuto essere presenti in Chiesa per sentire le vibrazioni interiori che le interpreti hanno saputo trasmettere a tutti i presenti.
E così a partire dal Rito per passare poi a Resistenza dei pensieri alle parole, Lo spazio necessario alle gocce della pioggia di primavera, Cripta, Storia dell’albero ferito, a Meditazione rinnovata, a Giacobbe, Pensando Patria, Operaio in una fabbrica automobilistica, La Samaritana, Maddalena L’Abisso Operaio in una fabbrica d’armi, Magnificat, avendo sempre di mira il significato dell’Anno della Verità che la nostra Diocesi sta celebrando, di questa ricerca che pone l’uomo sempre in continua tensione perché la verità va cercata, va trovata.
E se è vero che la storia non è risurrezione, perché tante sono le realtà negative che offuscano la bellezza del nostro mondo, è anche vero che l’uomo per mezzo della luce che è espressione della vita che nasce dopo la morte può dare un senso alla sua esistenza e la primavera diventare segno dell’anelito di gioia che pervade il cuore dell’uomo.
E se per arrivare alla verità il percorso è lungo è difficile, e l’uomo si tormenta perché ritiene che è incapace di arrivare alla conoscenza delle verità più importanti, e “l’uomo soffre soprattutto per mancanza di visioni”, la speranza, cioè, di un domani migliore, è necessario avvalersi di quella capacità che l’uomo ha di trovare la soluzione dei problemi.
Molto profondo il brano “Storia di un albero ferito”, che pone in risalto le sofferenze interiori dell’uomo, simili a un tronco che bisogna ferire perché si possa fare l’innesto, ma con l’albero che a suo tempo restituirà i suoi frutti a chi l’ha innestato. Sembra in questa poesia di ripercorrere l’esistenza umana di Giovanni Paolo II così provata dalla sofferenza ma che propria la sofferenza e il dolore ci hanno restituito nello splendore della sua santità.
E come non ricordare il brano di Giacobbe che nella notte in cui lotta con Dio entra nel profondo della sua coscienza, svelando il suo intimo tormento, ma aiutando i suoi pensieri a cercare il più semplice equilibrio per dare un senso a tutta la sua esistenza e a tutta la storia dell’umanità.
E poi le poesie “L’operaio in una fabbrica automobilistica” la cui anima è aperta alla ricerca anche se mancano le risposte e comprende che è necessario il silenzio per riuscire a darsi una risposta e “L’operaio in una fabbrica di armi” che sa che il mondo che lui crea non è buono, ma che vuole giustificare il suo errore, quasi ignorando la coscienza, affermando “ma non sono io che voglio questo” per passare poi la Samaritana trasformata dall’incontro con il Signore, dallo sguardo veritiero dei suoi occhi in cui ella si sente chiusa.
E mentre il tempo vola, “l’abisso” in cui si afferma che la verità impiega molto tempo a scalzare l’errore nella siccità di un mondo che è assetato di verità per finire al canto di lode del Magnificat con la lode che sale a Dio “Esalta, anima mia, la gloria del Signore, lui artefice dell’angelica sapienza, lui che semina generosamente la sua terra, lui che deve essere esaltato per la poesia, per la gioia, per il dolore”.
E così si arriva alla fine di quest’ora di silenzioso ascolto e di profonda meditazione nel ricordo dell’attenzione di Giovanni Paolo II per il mondo dell’arte, ricordiamo la Lettera agli artisti del 1999.
Alla fine un lungo applauso ha sottolineato la bellezza della serata con le parole delle due artiste che hanno parlato della loro esperienza. E così Barbara Scappa che ha affermato che la ricerca della verità è stata nella sua vita un percorso obbligato, un urgenza che le ha fatto riconoscere il miracolo dell’esistenza, in cui il male non ha senso e l’amore è l’unica via, perché la mancanza d’amore è causa di molti mali, un inganno, perché noi siamo nati per amare e l’amore è Dio.
E Marta Bifano che interrogandosi sulla verità della vita ha affermato che spesso l’artista lavora a servizio dell’ego, mentre in realtà la vita deve essere “a servizio”, osservando come è indispensabile perché abbia un senso che la vita sia riempita dalla spiritualità.
Il sindaco di Cittanova, Francesco Cosentino alla fine ha ringraziato il vescovo per il modo scelto dalla diocesi per far passare la parola di Dio e per l’intenso coinvolgimento delle artiste nel proporre i brani della serata.
E infine il vescovo che ha sottolineato come “nella voce delle artiste abbiamo ascoltato la lirica dell’uomo Wojtyla nella sua ricchezza interiore e in quella dimensione contemplativa che non l’ha mai abbandonato e la poesia contemplativa ha bisogno mdi silenzio, di solitudine” . E se è vero, come affermato prima, che la crisi della verità è crisi di visione, è anche vero che la luce della verità che è Cristo può distruggere le tenebre della notte. Le sue parole conclusive: “Cerchiamo di essere tutti poeti dentro, andiamo verso la Luce per capire la verità, e così diventare per gli altri indicatori di verità”.
Cecè Caruso