Dopo i riti esplicativi nella solenne concelebrazione presieduta dal Vescovo in presenza di numerosi sacerdoti e diaconi, don Michelangelo ha preso la parola facendo trasparire il suo particolare stato d’animo dopo aver lasciato la parrocchia di Serrata da lui guidata per 24 anni, ma affermando di aver accolto il nuovo mandato con spirito di obbedienza alla volontà del Signore, anche se con molta sofferenza, certo però che il Signore ci precede e ci accompagna negli avvenimenti della nostra vita. Per questo si è sentito di ringraziare il vescovo, i numerosi confratelli intervenuti, segno visibile dell’affetto nei suoi confronti, i fedeli delle comunità parrocchiali interessate. Ha fatto presente poi di voler entrare nelle due parrocchie in punta di piedi ma soprattutto di voler che tra le due parrocchie di Oppido si instauri un clima di unità, comunione e collaborazione che consenta di lavorare in sinergia per il bene della comunità di Oppido.
Il vescovo nella sua omelia si è soffermato a considerare come meditando le lettere di san Paolo si sia sempre chiesto come avvenisse il conferimento di un mandato al tempo degli Apostoli e di aver trovato la risposta nello stesso san Paolo che narrando la sua vita fa emergere che dovunque egli vada lo attendono sofferenze e persecuzioni da lui affrontate nel nome del Signore. Il filo che unisce l’affidamento di queste comunità – ha evidenziato il vescovo – è la coscienza che si è mandati ad edificare la Chiesa di Dio nel nome della SS. Trinità e una grande verità risalta: chi si ha davanti è frutto del dono del Signore che ci invia per far crescere il suo regno. Questo si realizza anche quando nel nostro tempo c’è un cambiamento del parroco, dal vescovo definito “un cambiamento di servo” dove si sperimenta che il cuore sanguina, la mente è confusa, il presente e l’avvenire pieni di interrogativi, ma il passaggio è superato ed inglobato dalla visione del Signore che sceglie per quanto chiede. “Ecco perché, questa sera – ha detto il vescovo – lo sguardo è stato rivolto soprattutto a Dio Padre che per mezzo dello Spirito affida una porzione del suo gregge in Cristo a un nostro fratello. E il nostro ministero o si raccorda a questa verità fontale o le difficoltà provenienti dal nostro essere o dagli altri, quando tutto non è buttato nelle mani del Signore e visto in Lui, perdendo tali coordinate, alla fine capiremo poco o niente”.
Il vescovo si è domandato poi come possiamo sentirci spiazzati, sfiduciati se sappiamo che il Signore nella sua volontà che noi non conosciamo ma chiara in lui compie certe cose e che affidandoci un paese, una città, una comunità intende associarci a sé nella continuità di quell’amore che nella missione apostolica si concretizza in un posto o in un altro ma solo in questa luce, motivo questo per chiederci come fare per vivere in questo modo! “Paolo – ha continuato il vescovo – ce lo indica nella lettura del giorno in cui rivolgendosi ai Romani fa comprendere che non sono le opere – diremmo oggi l’attivismo o le iniziative che pur vanno fatte – le cose più importanti, ma lo scopo principe, cioè di fede: se la fede c’è, il resto nella sua complessità, assume un altro volto”.
Proseguendo ha fatto un altro passaggio attualizzante: “Questa sera tocchiamo con mano come si ripeta nella vita della Chiesa questa lotta tra il Dio della storia, il nostro patto con lui, le opere da fare”. Richiamando la santa del giorno, Teresa d’Avila e la sua esperienza di vita, ha ricordato le lotte da lei sostenute con i diretti superiori e i suoi vescovi per amore del Carmelo, tutto da lei fatto sempre con una fede eccezionale sapendo che era diretto a realizzare quanto il Signore le suggeriva. Chi legge la sua vita resta colpito da come si sia messa su questa strada e il Signore l’abbia riempita di tanta luce, di tanta forza da essere oggi non solo la “Grande”, ma anche dottoressa della Chiesa, maestra che ci prende e dà la lettura delle cose che insegna a come vivere certe volte l’incomprensibile per noi ma chiaro nella mente del Signore, certi che come cantiamo con le sue parole “niente ti turbi, niente ti spaventi, chi ha Dio niente gli manca”.
Il vescovo ha chiaramente indicato come tutto quello che lui ha detto si raccordi chiaramente con la celebrazione dell’immissione canonica di don Michelangelo a cui il vescovo ha chiesto un atto di abbandono nel Signore, certo che lui interviene sempre dove noi per vari motivi non vediamo o abbiamo difficoltà a vedere.
Riferendosi poi alle parole di don Michelangelo e al suo richiamo allo spirito di comunione che vuole essere il programma del suo mandato, il vescovo ha sottolineato che “la comunione deve essere la nostra passione in tutti i sensi, qualcosa che ti prende, ti soggioga, ti costringe” perché ci aiuta a viver l’amore, l’unità pur nelle difficoltà. A don Michelangelo il vescovo ha augurato i frutti di questo dono che il Signore gli fa, illuminato soprattutto dall’Annunziata, maestra del sì quanto niente sembrerebbe capirsi, dall’Addolorata, la stessa Annunziata che ha annunziato, da san Nicola, il santo che si è distinto nella carità, e aiutato da tutti i confratelli e dalla comunità.
IL vescovo ha poi proseguito: “Questa sera, questo momento di grazia ci fa comprendere che nel Signore tutto acquista un nuovo senso, una nuova luce e come santa Tersa potremo realizzare cose grandiosi e vivere nell’abbandono nel Signore che è frutto di pace. Ti benedica il Signore in questo, affidati a lui, Teresa ti sia di grande forza e coraggio!”
L’ultimo richiamo ai fedeli presenti a vivere anch’essi fondati sulla fede, nella passione della comunione che fonda l’unità.
La serata di è conclusa con un momento di festa e convivialità.
Cecè Caruso