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02/Dic/17

Il ritiro mensile dei diaconi permanenti e degli aspiranti al diaconato

Si è svolto martedì 28 novembre 2017 nella Cappella della Chiesa di San Gaetano Catanoso in Gioia Tauro il consueto ritiro mensile dei diaconi permanenti della Diocesi insieme agli aspiranti al diaconato. Un momento di preghiera dinanzi a Gesù Eucaristia e al Volto Santo, il mandillion caro a san Gaetano Catanoso. A guidare la meditazione è stato don Giovanni Battista Tillieci, Delegato vescovile per il diaconato e i ministeri istituiti con una riflessione su “Un nuovo linguaggio sulla mediazione di Maria… come modello di servizio -diakonia” in stretto collegamento su “il servizio del diacono come mediazione… presenza… accompagnamento”.

Don Giovanni ha evidenziato come, di fronte alla difficoltà di ricorrere al linguaggio di mediazione per esprimere la funzione di Maria nell’opera della salvezza, senza peraltro collocarla nello stesso livello di quella di Cristo, alcuni autori avvertono la necessità di proporre un linguaggio alternativo, più accettabile e consono all’ecumenismo e alla cultura corrente. In tal senso la scelta della categoria della “presenza” da sostituire a quella della mediazione è proposta già nel 1978 da R. Laurentin, che ne fa risaltare il vantaggio di esprimere «la relazione della Vergine con gli uomini in modo semplice, limpido. La esprime in modo vitale: si desidera la presenza di quelli che si amano”. Certamente la categoria della presenza va valorizzata in mariologia, tenuto conto che essa è anche un effetto della condizione glorificata del corpo di Maria in analogia con il corpo di Cristo risorto. Nel significato scolastico la presenza è una semplice «occasione», quindi non in grado di esprimere la causalità efficiente insita nella mediazione. Ma anche nel significato moderno di «intercomunicazione personale» essa connota più la comunione intima e amante che non l’azione comunicativa della grazia, implicata nella mediazione.

H. Ott, discepolo e successore di K. Barth nella cattedra di teologia evangelica di Basilea, in un suo articolo sulla costituzione Lumen gentium aveva preso atto che il Concilio «spiega con molto vigore come l’unica mediazione e la singolare dignità del Redentore non sono intimamente compromesse dalla venerazione e invocazione dei santi e di Maria».

Nel Congresso mariologico di Loreto (1995), egli compie ulteriori passi, innanzitutto cercando di comporre «due fondamenti mariologici» posti in primo piano dal Concilio: l’assenso di Maria all’Annunciazione e l’intercessione materna della Madre di Dio: «Se invece di contrapporre queste due affermazioni ufficiali, sulla efficacia della grazia della Madre di Dio, cerchiamo di collegarle l’una all’altra, si ottiene il concetto di una mediazione completamente dipendente da ciò che media. La mediazione di Maria dipende dalla grazia di Cristo, di cui Maria stessa è mediatrice». Egli quindi tralascia il termine mediazione ritenendolo troppo giuridico e meccanico per esprimere l’ontologia interpersonale della storia della salvezza, e propone una «nuova categoria», un vocabolo sostitutivo come «essenziale accompagnamento». In questa sfera la mediazione appare piuttosto come un essenziale accompagnamento lungo un cammino personale. Così il Creatore ha costituito e collocato, l’una accanto all’altra le persone, nel loro essere e nella loro comunità, in modo che ognuna compia il proprio personale cammino, ma anche in modo che lungo questo cammino possano accompagnarsi a vicenda. Un tale accompagnamento è una sorta di donum superadditum, un’eccedenza o una sovrabbondanza, ma è proprio questa sovrabbondanza a caratterizzare l’essenza e la ricchezza della vita personale». L’applicazione a Maria non crea difficoltà non solo perché ella «come tutti i santi di Dio ci accompagna nel nostro cammino verso il Figlio, il Dio-uomo», ma anche perché in lei si realizza una «sovrabbondanza» che la definisce «mediatrice della grazia». Infatti «Dio ha comunque collegato la sua irrevocabile decisione di comunicarsi, rivelarsi e donarsi al genere umano, con l’umano consenso, il libero “Sì” pronunciato da Maria in vece dell’umanità. In egual modo, si lascia così intendere l’intercessione della Madre di Dio, il suo pregare con noi che, secondo la Lumen gentium, è efficace solo attraverso Cristo. Anche il libero “Sì” di Maria e il suo pregare con noi sono un accompagnamento e appartengono perciò all’essenziale sovrabbondanza e ricchezza di tutto l’essere personale».

Nella sua tesi di laurea in teologia «Ecce Ancilla Domini». La mediazione materna come diakonia della Madre di Gesù, presentata nel 2004 alla Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale (Napoli), G. Cumerlato interpreta la «mediazione materna» nella prospettiva biblico-spirituale del «servizio». Trovando nel «Sì» dell’Ancella del Signore una fondamentale «chiave ermeneutica», presenta la sua cooperazione come «servizio-diakonia materna».

Il ricorso alla diakonia è ispirato da C. Militello che colloca la missione della Madre di Dio in chiave di diakonia all’interno dell’unica ministerialità ecclesiale, di cui parla 1Cor 12,4-6. Tutto è proposto come un ministero-servizio comune dato per l’utilità della comunità, nel quale si coglie il ruolo salvifico di Maria. Anche la sua mediazione materna è riconosciuta diakonia, inserita in quell’unico ministero di diakonia dell’intera Chiesa. In questo servizio al bene della Chiesa, la Vergine Madre diviene, nella paradigmaticità e singolarità del suo accogliere la Parola, modello e tipo della Chiesa.

Cumerlato applica a Maria una duplice attività di servizio: A) diaconia discendente, come capacità di accogliere-custodire la Parola data dal Padre; come sulla terra Maria è stata la «donna della contemplazione e della memoria» del mistero, ora, glorificata in cielo, è messa in grado, nel mistero della comunione dei santi, di favorire l’accoglienza integrale della grazia e della rivelazione, la meditazione sulla verità rivelata, l’approfondimento della dottrina, ed a sostenere la fermezza della Chiesa nelle lotte della fede contro il dubbio e l’errore; B) diaconia ascendente o intercessione materna presso la Trinità in virtù della sua peculiare, discreta ma intensa partecipazione al sacrificio del Figlio sulla croce. Come modello di ogni orante, Maria è figura della Chiesa che prega incessantemente per l’intero popolo di Dio.

Il vantaggio di questa proposta consiste nell’adozione di un linguaggio biblico, quindi potenzialmente ecumenico, fondato sull’autodesignazione di Maria come «serva del Signore», affine al termine diákonos. La diakonia infatti, prima di designare un preciso ministero in connessione con gli episcopi (Fil 1,1; 1Tm 3,8-13; cf At 6,1-6), indica l’atteggiamento fondamentale di Cristo e dei discepoli. Anzi, secondo Mc 10,45 e Mt 20,28, servire (diakonéin) «non soltanto designa ogni attività caritativa verso il prossimo, ma viene inteso come compimento di un sacrificio completo, come dono della vita, dono che dal suo canto è l’essenza stessa del servire, dell’esistere per gli altri in vita e in morte». E diakonia indica «ogni attività importante per l’edificazione della comunità». Nessuna difficoltà di applicare tale termine all’attività mediatrice di Maria, se non forse l’uso attuale di riservare in primo luogo la parola diacono al ministero ordinato.

Da qui il richiamo di don Giovanni Battista ai diaconi perché come Maria impieghino la loro vita come dono d’amore al servizio della Chiesa e dei fratelli soprattutto diventano “accompagnatori”, viandanti che camminano accanto, sulle strade delle periferie esistenziali e materiali dell’uomo del nostro tempo.

 

Cecè Caruso

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