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05/Gen/20

L’ordinazione presbiterale di don Pasquale Ciano, don Giuseppe Mangano e don Giuseppe Sgambetterra

La sera del 3 gennaio, nella memoria del SS. Nome di Gesù, la Chiesa Cattedrale- Santuario di Oppido Mamertina, gremitissima, ha accolto col canto maestoso del “Juravit Dominus” eseguito dal Coro diocesano diretto dal maestro don Domenico Lando il clero della nostra Diocesi qui convenuto per un evento di straordinaria importanza per la nostra Chiesa locale, l’ordinazione presbiterale di don pasquale Ciano della Parrocchia Santa Marina Vergine in Polistena, don Giuseppe Mangano della Parrocchia S. Nicola Vescovo in Oppido Mamertina e di don Giuseppe Sgambetterra della Parrocchia S. Martino Vescovo in Drosi di Rizziconi.
La solenne concelebrazione è stata presieduta dal nostro Vescovo Mons. Francesco Milito con la presenza dei sacerdoti e dei diaconi della Diocesi e, al gran completo, il Rettore, gli animatori e il Padre Spirituale del Seminario regionale San Pio X di Catanzaro unitamente ad alcuni diaconi e seminaristi amici degli ordinandi.
Il Vescovo dopo il saluto ha annunciato il senso della celebrazione con queste parole “Fratelli e sorelle, Cristo è presente fra noi per donarci una gioia più intensa con l’ordinazione presbiterale di questi tre figli carissimi destinati a essere pastori per la Chiesa di Oppido-Palmi”. E la gioia è stato il sentimento che ha pervaso tutti i fedeli presenti unitamente alla profonda commozione visibile soprattutto negli sguardi emozionati e negli occhi bagnati di lacrime dei genitori e dei parenti intimi dei tre nuovi presbiteri.
Il Vescovo nella prima parte della sua omelia con un’ampia e articolata esegesi, riferendosi alla memoria celebrata, quella del SS. Nome di Gesù, ha spiegato il significato del nome di Gesù e la finalità della sua venuta, che trova il suo pieno disvelarsi nella cena pasquale, quella di essere venuto per donare il suo corpo e versare il suo sangue per la salvezza di molti. Il Vescovo ha poi evidenziato che l’elaborazione della Chiesa in crescita avrebbe fissato e definito una volta per tutte il legame e il nesso profondo tra elementi materiali, legati al tempo – la carne – e la trasformazione in strumento di salvezza eterna (la carne cardine di salvezza) nella lapidaria contemplante rivelazione di Giovanni: «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo in DioE il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre pieno di grazia e di verità». Così il nome di Gesù indicante il suo essere ed insieme la missione, si concentra nella tradizione greca in Christòs, il Messia, cioè l’unto il consacrato a Dio con l’unzione e con questo titolo la prima predicazione apostolica presenta Gesù ai destinatari diretti, in quanto consacrato, cioè scelto e destinato all’opera di Dio per il popolo eletto e per il mondo protetto e sorretto da Dio.
Rivolgendosi poi personalmente e richiamando le parole della consacrazione «Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi…; questo è il mio sangue versato per voi e per tutti in remissione dei peccati» Sua Eccellenza ha detto loro cheda oggi, nel pronunciare queste parole per la prima volta in modo personale, dovrà esservi perfetta corrispondenza, chiaramente manifestata e immediatamente percepibile, di modo che considerato che Offerta e sacrificio del corpo significano offerta e sacrificio della vita, esse realizzino in pieno la non appartenenza a sé con una donazione totale alla Comunità nella concreta forma del ministero affidato dalla Chiesa tramite il mandato del Vescovo perché la progressiva conformazione a Cristo, tappa decisiva nel percorso formativo, trova nella dedizione totale nella Chiesa la più evidente prova che è stata recepita, perciò compresa e in continua realizzazione.
 
Da qui una serie di raccomandazioni, quelle di un padre-pastore verso i figli che lo stanno per diventare: «Non siate diligenti studiosi delle scadenze delle nomine dei confratelli per trasformarvi in programmatori di eventuali successioni. Né mai cedete alla tentazione di agire con paragoni su qualità che farebbero di voi persone più adatte ad un ruolo piuttosto che ad un altro, tutto misurando su metri legati al titolo dell’ufficio, all’importanza della parrocchia, al numero degli abitanti che comprende, al prestigio che darebbe una città o un centro più popoloso, rispetto ad una zona periferica o appena ad un nucleo di residenti. Ricordatelo sempre: periferia e piccolo gregge sono preferiti nel Vangelo». Il Vescovo ha raccomandato loro soprattutto di agire sempre secondo i disegni di Dio rifuggendo le furbizie come vie traverse per raggiungere obbiettivi semplicemente umani. Ha sottolineato il Vescovo: «Se siamo al servizio, non possiamo servircene per essere serviti. È nella natura del dono la libertà di farlo con il gusto che riesca gradito, e senza alcun ritorno» ricordando che Quando si dice: «questo sacerdote è un vero dono», quando si cominciano ad apprezzarne le qualità o, quando lo si sta “per perdere” perché destinato altrove o in transito per la casa del padre, «questo sacerdote è stato un dono», dovrebbe significare: «è stata la sua vita una messa continua e noi vi abbiamo visto l’identificazione con Cristo, totale, perfetta, realizzata».
 
In questo il presbitero è sorretto con l’unzione dalla grazia performante che fa sì che egli pur rimanendo nella condizione umana si trasforma in Parola del Dio vivente. A tal proposito il Vescovo ha sottolineato che nella carne del Presbitero che diventa Verbo è insito il radicamento nella comunità dei fratelli che significa che il presbitero non può che parlare la lingua del suo popolo, entrando nella sua cultura, cioè nel suo modo di pensare e di essere, per tonificarla nei valori, per sostenerla nei limiti di debolezza, per purificarla. Il Vescovo ha evidenziato: “Sentir dire del presbitero: «È uno di noi, vive con noi, vive per noi» è l’apprezzamento più alto che si possa registrare perché espressione di una incarnazione radicata”. Il Vescovo ha proseguito con una sottolineatura riferita al titolo di don che viene dato al presbitero augurandosi che esso non sia segno di appartenenza a un ceto nobiliarema un “don” che significa semplicemente “Signore”, ma non “padrone” nella Chiesa di Dio: signori siamo tutti, ma padroni nessuno e di nessuno. «In esso sia indicato – ha affermato il Vescovo – il fratello, il sacerdote, l’amico indimenticato e indimenticabile, quasi uno di famiglia, l’esempio di uomo retto e santo. Al nome nostro resti legato un pensiero dolce di pace e di fiducia, di amore e di affetto sincero».
 
Avviandosi verso la conclusione Sua Eccellenza ha ricordato di aver consegnato in un’ altra ordinazione sacerdotale e diaconale, riandando al il dies natalis al cielo di don Mottola, l’immagine della «povera lampada che arde, che arde ancora, e arderà finché l’alimenterete: e finché vorrà il padrone arderà perdutamente…» aggiungendo «oggi rafforzo questa consegna, accendete le lampade della vostra vita a questa fiamma, tutta pasquale, e fatela risplendere di più vivida luce con un sacerdozio santo, perché aumentino in Calabria i santi sacerdoti». E poiché essi saranno presbiteri dell’“Anno cardine 3” incentrato sulla Parola, con la Lectio Divina come scuola di preghiera per la nostra Diocesi e del nuovo Messale, ha concluso: «Accanto alla Parola di Dio, ponete il Messale: l’una porta all’altro, ambedue alimento e ossigeno del presbitero. Tutto nel nome di Gesù e della Santissima Trinità, fonte del nostro credere, amare, agire».
 
Quello che è stato vissuto subito dopo nel rito dell’ordinazione sacerdotale resterà a lungo nel cuore di tutti, tutti i momenti: dalle domande poste dal Vescovo sulla loro volontà libera di essere ordinati presbiteri, sulla disposizione ad annunciare la Parola di Dio e a celebrare l’eucarestia e la riconciliazione, sulla loro disponibilità a pregare per il popolo di Dio, sul desiderio di conformarsi a Cristo, dal momento della promessa di obbedienza al Vescovo e ai suoi successori, dalla litania dei santi durante la quale gli ordinandi si sono prostrati a terra come Gesù fece nel Getsemani, al momento centrale in cui il Vescovo e poi tutti i presbiteri presenti hanno imposto le mani sul capo di ogni candidato, dalla preghiera di ordinazione che ricorda il ruolo dei sacerdoti nella storia della salvezza e invoca il dono dello Spirito Santo sui candidati perché siano collaboratori efficaci del ministero del Vescovo ai riti esplicativi durante i quali i candidati sono stati rivestiti dei paramenti liturgici tipici del presbitero dal loro parroci ed è stato posto nelle loro mani il pane e il vino che servono per la celebrazione dell’eucarestia, al momento emozionante dello scambio di pace con il Vescovo, i presbiteri presenti, i genitori e parenti più intimi. Momenti di intensa partecipazione e di viva commozione espressione dell’immensa gioia di tutti per l’ordinazione presbiterale di questi nuovi pastori della nostra Chiesa locale. Ai novelli presbiteri il nostro augurio per una buona vita presbiterale sui passi di Gesù e insieme con tutti noi, per un «cuor solo e un’anima sola».

 
Cecè Caruso


 


Allegati:

Apertura Causa Beatificazione di P. Ludovico Polat

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