Dal secondo convegno liturgico regionale, intitolato: “La forza dei simboli”, svoltosi domenica scorsa nel Santuario di San Francesco di Paola, è emersa ancora una volta la necessità di una seria formazione liturgica nelle parrocchie, che possa aiutarci a entrare nella Liturgia, che trasforma i segni in simboli. Lo ha spiegato bene don Marco Gallo, della diocesi di Saluzzo e direttore dell’Istituto Superiore di Liturgia di Parigi, attraverso una relazione sull’agire simbolico, tratto essenziale dell’atto liturgico. Accanto a lui, don Luca Perri, parroco della cattedrale di Cosenza e direttore dell’Ufficio Liturgico, che prima dell’inizio dei lavori della tavola rotonda, ha accolto i gruppi di pellegrini del Giubileo provenienti da tutta la Calabria, i quali hanno percorso insieme un tratto di cammino fino all’ingresso del Santuario. Per farci entrare nella dimensione reale del mondo dei simboli e farci comprendere il loro potere e la loro forza, don Gallo ha mostrato alcuni video. Nel primo, abbiamo visto i bambini usati come adulti ed esposti in modo crudele, obbligati a parlare di crisi finanziaria e di famiglia, forse perché la chiesa è poco attenta all’infanzia. Nel secondo siamo stati proiettati nella realtà dei conflitti mondiali, in particolare, nel Giappone, dove i cristiani giapponesi perseguitati conservarono la fede senza poter celebrare l’Eucaristia, grazie al battesimo celebrato in casa e all’anno liturgico, custodito con le pratiche di devozione popolare come il rosario, le immagini sacre e la memoria dei martiri. Don Gallo ha evocato anche l’immagine fortemente simbolica di papa Francesco solo nella piazza vuota di San Pietro durante la pandemia, che ha rappresentato il dolore vissuto da tutto il mondo in quel momento. Infine, il relatore ha raccontato la storia di Leone, tratta dal libro di Mastrocola, un bambino sorpreso dalla mamma a pregare su una panchina, nonostante nessuno gli avesse insegnato a farlo. Una scena che suscitò incredulità, ma alla fine tutti si arresero al giudizio, anche la madre, che comprese la solitudine di suo figlio, se non lo ascoltava Gesù, nessuno lo faceva. Da qui, don Gallo ha sottolineato che «esiste una libertà dello Spirito Santo che agisce nonostante noi. Si è davvero liturgisti solo se si resta bambini. La preghiera come la Liturgia è uno spazio di libertà». Lo stesso ci ha spiegato le azioni da compiere per entrare nella Liturgia, partendo dal desiderio. «La forma più bella è sentirsi desiderati dentro il desiderio più grande di qualcuno», ha affermato il sacerdote Gallo, che ci ha invitati a non rinunciare a un giorno felice, a non dare la precedenza al cellulare, a vivere felicemente la sessualità, a non controllare tutto, a salvarci dalle malattie alimentari, a non accelerare ma riposarci anche durante la messa. Perché il desiderio non è un bisogno da soddisfare, ma un richiamo verso qualcosa di più grande di noi. È così che si diventa cristiani desiderati. Don Gallo si è poi soffermato sul numero 2 della Desiderio Desideravi, per suggerirci come si guarisce dal desiderio malato, facendosi dono. «Al momento dell’Ultima Cena, Gesù dice: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione”. Gesù sa che sta per morire ma esprime il desiderio di mangiare con i suoi discepoli per farsi dono. Ecco come prende forma l’azione simbolica nella Liturgia e nell’amore, che è rito, che nasce prima dell’uomo. «Il rito è come un gioco sobrio. Crea una realtà che ancora non esiste. La messa è un gioco in cui non si gioca uno contro l’altro, si entra insieme in un ritmo, in un ordine, in una misura. Nella liturgia, diventiamo Parola di Dio, partecipiamo a una danza, che ci conduce alla salvezza. Ogni intervento umano che vuole manipolare il rito, lo lacera. Il soggetto del rito deve essere felice di esserci, e coinvolto» ha asserito il liturgista, parlando dello stupore che ci salva dalla sciatteria. «Cosa c’è di più bello di un volto illuminato da una candela, nella notte di Pasqua? » ha detto don Gallo, per farci capire che non è la solennità della Liturgia a stupirci, ma l’Amore che contiene, è incantevole. Infine, Don Gallo ci ha richiamato all’oggettività e al gratuito, per salvarci dalla solitudine dell’era digitale, dalla scontentezza, dal giudizio contro il fratello, che ci esclude dal Corpo di Cristo. Ed ha concluso, ricordando: «Il Dominicum, cioè la domenica, va vissuto come un giorno di respiro perché la liturgia non è un dovere, ma un luogo di salvezza». Durante la celebrazione della messa, nell’omelia, l’arcivescovo di Catanzaro Squillace, vice presidente della CEC e Presidente del CAL (Centro Azione Liturgica), monsignor Claudio Maniago, ha ripreso i temi del convegno liturgico, attestando che «solo l’esposizione a un desiderio più grande guarisce il nostro cuore. E la messa, come un gioco sacro, ci trasforma, ci incanta e ci rende liberi». Dopo una pausa pranzo, i partecipanti al convegno si sono divisi in sette gruppi di lavoro, guidati dai sacerdoti, tra cui don Giuseppe Calimera, direttore dell’Ufficio Liturgico della diocesi di Oppido Mamertina, il quale ci ha accompagnati in una giornata formativa e allegra, che ha unito diverse realtà parrocchiali e corali di tutta la Calabria. Con lui anche il liturgista don Elvio Nocera della stessa diocesi. Dai laboratori è emersa con chiarezza la volontà di crescere, per rafforzare la capacità simbolica al fine di migliorare le celebrazioni liturgiche.
Kety Galati














