Si è tenuta ieri pomeriggio, 12 dicembre 2025, presso l’Aditorium diocesano “Famiglia di Nazareth” di Rizziconi la prima Sessione del Convegno storico-teologico-pastorale “Il Concilio Vaticano II (1962-1965): memoria e profezia. A 60 anni dall’evento, la celebrazione, la ricezione e i primi frutti nella Chiesa di Oppido Mamertina-Palmi”, organizzato dalla Diocesi con il Patrocinio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria; dell’Istituto Teologico Calabro “San Francesco di Paola” in Catanzaro e dell’Istituto Teologico e Pastorale “San Giovanni XXIII” in Gioia Tauro.
Ha accolto i convegnisti mons. Giuseppe Varrà, vicario generale della Diocesi, il quale ha ricordato il silenzioso stupore dei cardinali presenti quando, il 25 gennaio 1959, Giovanni XXIII, a sorpresa, annunciò la sua ferma volontà di convocare un Concilio che avrebbe inaugurato una nuova fase nel bimillenario cammino della Storia della Chiesa: una Chiesa attenta agli ammalati, ai poveri, ai lontani. Una Chiesa in cammino, in uscita. «Abbiamo vissuto quei giorni come spettatori inconsapevoli di un avvenimento di cui ancora non coglievamo la bellezza e l’importanza – ha ricordato mons. Varrà – solo dopo qualche anno, con la pubblicazione dei primi documenti, ci si è resi conto di essere testimoni e, almeno in parte, attori di un avvenimento che poteva e doveva dare alla Chiesa un volto nuovo».
Il dott. Raffaele Leuzzi, collezionista e membro dell’Associazione culturale diocesana “Il faro”, ha presentato la Mostra: “La notizia del Concilio: i papi e i giornali. Le prime pagine che hanno raccontato Giovanni XXIII, Paolo VI e il Concilio Vaticano II”, da lui curata e che presente le prime pagine originali dei quotidiani che hanno trasmesso al grande pubblico la cronaca dello storico evento. «Si tratta di figure e di eventi che hanno segnato una svolta epocale nel dialogo tra la Chiesa e il mondo moderno», ha affermato il dott. Leuzzi, «le prime pagine qua esposte sono dei frammenti di memoria collettiva, specchi di un tempo in cui la Chiesa ha scelto di aprirsi al mondo e di camminare con esso e in cui il Concilio fu descritto come la vera rivoluzione del ventesimo secolo per il mondo cattolico e non solo».
Quindi, suor Tina Carbone, direttrice dell’Ufficio Scuola diocesano e docente dell’Istituto Teologico Calabro “San Francesco di Paola” di Catanzaro, ha moderato e introdotto i lavori ricordando come il fine principale della grande Assise ecumenica sia stato quello di custodire ed insegnare in forma più efficace il sacro deposito della Dottrina cristiana per rispondere alle nuove esigenze dei tempi. «La rilettura dei documenti del Concilio Vaticano II, che sono vivi, perciò attuali, è una tappa imprescindibile per la pastorale e la liturgia, per la presenza nella società e per il dialogo ecumenico della Chiesa di oggi», ha detto suor Tina. «Rileggendo i testi del Vaticano II, abbiamo modo di mettere a fuoco che stiamo vivendo un periodo di transizione verso un modello di cristianità che non è più e che non è ancora, ma che sta germinando, anche con il nostro contributo, per favorire regole condivise, collaborazione di tutti, apertura alla novità dello spirito». Secondo la moderatrice, infine, «il Concilio Vaticano II ha ancora molto da dirci per salvaguardare oggi l’umano e i suoi valori, gli stessi che da sempre il Vangelo e la Chiesa ci propongono».
Don Elvio Nocera, direttore dell’Istituto Teologico e Pastorale “San Giovanni XXIII” di Gioia Tauro e docente dell’Istituto Teologico Calabro “San Francesco di Paola” di Catanzaro, ha tenuto la prima relazione sul tema “Sacrosanctum Concilium e Dei Verbum: Liturgia e Rivelazione al cuore della Fede cristiana”. «Nonostante la distanza temporale che separa le due costituzioni e il loro apparente diverso contenuto, è sorprendente come una lettura ermeneutica attenta dei testi ci restituisca un approccio del tutto nuovo nella descrizione dei rapporti tra Dio e l’uomo, o meglio, tra Dio e il suo popolo» – ha detto don Nocera – «La Dei Verbum ha voluto esaltare l’atteggiamento di sottomissione e di umile docilità alla Parola di Dio che deve essere propria dell’intero Popolo di Dio, Chiesa discente e Chiesa docente. Il Concilio supera l’approccio esclusivamente dogmatico della Rivelazione per delinearne l’aspetto altamente esperienziale. La Rivelazione appare, nella Dei Verbum, anzitutto come libera comunicazione che Dio uno e trino fa di se stesso, per mezzo di Cristo, mediatore e pienezza della Rivelazione. Lui è l’unica fonte della Rivelazione. In Cristo, infatti, si è reso visibile, a tutto il genere umano, il disegno salvifico di Dio nel suo dispiegarsi storico, il suo Mistero». «Secondo il Concilio – ha proseguito don Nocera – la Rivelazione si dispiega e si comprende nella e come Storia della salvezza. La Liturgia è presentata dal Vaticano II proprio come Storia della salvezza in atto. La Rivelazione è Storia della salvezza, la Liturgia è Storia della salvezza. La Liturgia è, così, descritta come Vangelo dai Padri conciliari, anzi, ancora di più, come la realizzazione concreta della buona notizia, ponendo l’uomo in una Storia della salvezza continuamente in atto. Ciò è possibile, secondo il Concilio, proprio in virtù della presenza di Cristo nelle azioni liturgiche». Secondo don Nocera, il Vaticano II ha insegnato che «il Signore è presente nella Ecclesia che prega e loda lui che ha promesso: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Questi modi di presenza di Cristo nella Liturgia, insieme agli altri che sono elencati nel documento conciliare, è fondamentale, affinché i Padri conciliari arrivino a superare un concetto di Liturgia estetico-rubricale per affermare, con novità assoluta, che la Liturgia è esercizio del Sacerdozio di Gesù Cristo, cioè opera della nostra Redenzione». Infine, ha concluso il relatore, «la Liturgia deve tornare ad essere il luogo dell’incontro con Dio che liberamente si rivela, ci salva e ci accompagna al definitivo incontro con lui, culmine di ogni nostra personale azione missionaria ed evangelizzatrice. Per tale ragione, secondo la Sacrosantum Concilium, nella Liturgia terrena noi partecipiamo, per anticipazione, alla Liturgia celeste che viene celebrata nella santa Città di Dio, verso la quale tendiamo come pellegrini».
La seconda relazione è stata tenuta dal sac. Roberto Oliva, del Clero della Diocesi di San Marco Argentano-Scalea, docente dell’Istituto Teologico Calabro “San Francesco di Paola” di Catanzaro, che ha avuto come titolo: “La Chiesa nel Mistero e nella Storia: dall’Ecclesiologia di Lumen Gentium al dialogo di Gaudium et Spes”. «Il Popolo di Dio, cioè la Chiesa che noi siamo, non è solo il libro ingiallito dei battesimi su cui sono scritti i nostri nomi e non è nemmeno l’insieme delle persone che in maniera passiva, ricevono insegnamenti e norme o ricevono cosa devono fare o cosa non devono fare, ma la Chiesa, secondo la svolta di Lumen Gentium, il segno e lo strumento di un Amore più grande che il Popolo di Dio non solo riceve, ma condivide». Richiamando l’insegnamento dei Padri conciliari, don Oliva ha, poi, messo in guardia dal fatto che «possiamo anche avere una parvenza di Chiesa ma senza vera relazione con Cristo non siamo Chiesa. Possiamo presumere di esserlo, ma senza questa relazione noi non realizziamo le opere più grandi rispetto a quelle da lui compiute. E’ l’unione con Dio e l’unione tra di noi l’opera più grande. È la carità, cioè, l’opera più grande di ogni miracolo, anche dei miracoli di Gesù. È la possibilità di amarsi e di amare il miracolo più grande, l’opera più grande di cui ogni umanità, non solo quella dei tempi della Lumen gentium, ma anche la nostra umanità, quella attuale, ha urgentemente bisogno». Quindi, ha proseguito don Oliva, «la relazione con Cristo, allora, non è un momento intimistico; non è ritualità, ma è, piuttosto, il passaggio da una vita vissuta per la morte alla vita stessa di Dio, cioè ad una vita eterna che è già dentro di noi grazie al battesimo e grazie alle relazioni che viviamo tra di noi, nella Chiesa, nel suo Popolo. Questa è la salvezza di cui la Chiesa si fa segno e strumento. E salvezza vuol dire proprio “essere in salute”. E la Chiesa è in salute, la Chiesa “sta bene” quando pratica, senza vergogna e senza resistenze, questo tipo di carità, questo tipo di amore, quando cioè è capace di sentirsi amata e di spendersi per ogni tipo di umanità, senza frontiere». Infine, secondo don Oliva, «il Vaticano II ha inaugurato l’atteggiamento di una Chiesa che diventa compagna dell’umanità e diventare compagni dell’umanità vuol dire percorrere anche quei passaggi dell’umanità che a noi non piacciono o che noi riteniamo non interessanti, non importanti o anche sbagliati. Diventare compagni dell’umanità vuol dire praticare una carità senza limiti e senza sconti, contribuendo, così, a rendere più umana la storia. È l’umano che la Chiesa cerca; è l’umano che la Chiesa costruisce con tutti i tipi di umanità, in ogni tempo».
Dopo i primi, interessantissimi interventi, si è passati al cuore del Convegno: la notevole, intensa ed efficace prolusione del cardinale Roberto Repole, arcivescovo di Torino, ospite d’onore della storica serata. Sua Eminenza, infatti, nel corso della sua affascinante e densa trattazione, ha efficacemente risposto alla domanda: “Il Concilio Vaticano II pro-voca ancora la Chiesa, oggi?”. «Dico subito che la risposta è sì – ha esordito il cardinale – per un motivo molto semplice, perché il Vaticano II è stato un momento in cui la Chiesa si è rimessa in ascolto delle Scritture e della sua ricca e costante Tradizione per fare un atto di interpretazione; per, come Giovanni il Battista, indicare ancora il Vangelo. Ma, per realizzare questo, bisogna salvaguardarsi da un pericolo: i documenti conciliari sono moltissimi, per cui ci si può perdere dentro il Concilio. Talvolta del Concilio viene presa qua e là qualche frase o qualche parola, generalmente scollegata da tutto il resto, per affermare concetti che il Concilio non ha mai espresso. E’, invece, necessario leggere il Vaticano II pensando che le quattro Costituzioni principali siano come il tronco di un albero nel quale si innestano rami diversi che sono tutti gli altri documenti. Solo se lo leggiamo così sarà possibile cogliere il fulcro e il cuore del Concilio».
Il porporato ha, poi, proseguito il suo affascinante discorso ricordando come il Vaticano II abbia, anzitutto, avvertito l’urgenza di mettere a contatto con il Vangelo il mondo contemporaneo. «Questo sforzo – secondo il cardinale Repole – ha permesso alla Chiesa non solo di celebrare Cristo in modo nuovo e più conforme alla vita delle donne e degli uomini contemporanei, ma anche di percepire soprattutto che Cristo è la persona vivente che nello Spirito si rende presente in ogni azione liturgica e massimamente nella celebrazione eucaristica. Il Cristo che si incontra nell’azione liturgica è la Parola vivente nel quale Dio si è rivelato all’umanità e che continua a parlare ad ogni donna e ad ogni uomo, istituendo e coinvolgendo la sua personale libertà. In tal modo, rioffrendo Cristo al mondo contemporaneo, la sua Chiesa compie un atto di discernimento, assumendo, contemporaneamente, tutto ciò che c’è nell’umano elevandolo e purificandolo. In maniera netta, nel Vaticano II, Cristo è presentato come la Parola eterna di Dio che si rivela agli uomini in un atto di autocomunicazione; in un incontro due libertà: quella di Dio, che si dona e si comunica, e quella dell’uomo che liberamente lo accoglie. In questo senso, la Comunità dei credenti diventa quella porzione di umanità che riconosce nella fede Gesù Cristo e lo rende presente nel mondo attraverso la sua missione. Per questo, la Chiesa non può che essere per natura missionaria, ovunque essa si trovi a vivere, anche in un contesto in cui il Vangelo è già stato annunziato e dove la Chiesa non può pensarsi esente dal prolungare la missione di Dio che la fa esistere».
E’ in questa prospettiva che, secondo il cardinale Repole, il Concilio continua ad essere una grande provocazione per l’oggi. Perché? «Perché ci riconduce al fatto che non possiamo essere cristiani, non possiamo essere la Chiesa di Gesù Cristo senza aver chiaro, non soltanto concettualmente ma esistenzialmente, qual è il fondamento perenne del nostro esserci ovvero la sinodalità che è data dal fatto che laddove due o tre sono riuniti nel nome di Cristo, Cristo è presente in mezzo a loro, come ci assicura il Vangelo di Matteo. La sinodalità è l’effetto dell’agire dello Spirito di Cristo che si rende presente in mezzo a noi quando ci mettiamo in ascolto di lui, ascoltandoci gli uni gli altri, per discernere come essere Chiesa e come annunciare il Vangelo ai diversi livelli della vita ecclesiale. E non possiamo ascoltare la voce di Cristo se non dando valore a tutte le voci e questo può essere oggi una grande provocazione in un mondo, come quello attuale, in cui persino le istanze moderne della democrazia sono compromesse».
Quindi, ha proseguito l’arcivescovo di Torino, «oggi il Concilio provoca ancora la Chiesa perché ci parla di una necessaria pluriministerialità; di una pluralità di ministeri battesimali dei quali abbiamo bisogno perché le nostre Comunità cristiane svolgano bene la loro missione. Ovviamente non soffermandoci soltanto su ministeri di tipo liturgico, ma andando ad individuare altre ministerialità nell’ordine della carità, della promozione umana, dell’azione sociale e della politica. E, infine, mi pare che il Concilio possa provocare la Chiesa oggi attraverso la proposta di una specifica “postura” con cui abitare e stare dentro il mondo contemporaneo, ovvero la capacità di offrire al mondo qualcosa che questo mondo non riesce più a darsi da solo: la fraternità, l’unica forza capace di colmare nel cuore degli uomini quei vuoti terribili che il processo di deculturazione e di desocializzazione ha lasciato».
«Il mondo moderno – ha concluso il cardinale Repole – è un mondo che vive di un’accelerazione continua ma questo provoca dei disastri infiniti soprattutto nelle giovani generazioni, ma questa potrebbe essere, allo stesso tempo, una chance incredibile per una Chiesa che voglia essere veramente tale a patto di voler, ancora oggi, ri-offrire Cristo come la possibilità di uno sguardo alternativo alla vita e un modo alternativo di vivere».
Infine, riassumendo e concludendo i lavori della prima sessione, mons. Giuseppe Alberti, nostro vescovo, dopo aver ringraziato gli illustri e efficaci relatori e gli attenti e interessati partecipanti, ha invitato tutti a ravvivare il nostro incontro con il Vangelo, la fonte di cui dobbiamo continuare ad attingere. «Ridiamo voce allo Spirito – ha affermato mons. Alberti – recuperando l’ascolto di una Parola che è di Dio ma che passa anche attraverso gli altri. E’ questa un’esperienza che ci unisce, che ci avvicina e non ci allontana e non ci contrappone: la sinodalità che è un grande educatore, un maestro non interiore. La sinodalità respira di una capacità plurima di riconoscimento reciproco e di valorizzazione dell’altro. È una sinfonia nella quale veramente ognuno suona il suo strumento e diventa qualcosa di bello e di armonico.
Infine, ha concluso il vescovo di Oppido-Palmi, «è necessario ricominciare ad avere il coraggio di ri-pensare il nostro modo di essere cristiani oggi, il nostro modo di essere Chiesa oggi alla luce della profezia del Vaticano II, ricostruendo Comunità cristiane capaci di creare spazi di comunione, di fraternità, di solidarietà, di amicizia, diciamola pure in modo sintetico: di umanità. Dobbiamo, cioè, tornare ad essere umani nelle nostre Comunità cristiane, nelle nostre Parrocchie e, se saremo autenticamente umani, riscopriremo di essere autenticamente cristiani».
I lavori riprenderanno questa mattina, nello stesso luogo e con nuovi relatori, i quali guideranno la seconda sessione dell’importante Convegno che si concentrerà sulla celebrazione e la ricezione del Concilio Vaticano II nella nostra Chiesa particolare.
Sac. Letterio Festa
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Foto: Diocesi Oppido Mamertina-Palmi | Ufficio Comunazioni Sociali – (C) 2025
























