lunedì 29 Apr 2024

CHIUSURA ANNO DELLA CARITÀ – APERTURA DELL’ANNO DELLA VERITÀ

1.         La Parola del Signore, Parola di vita eterna – perciò vera – di queste tre ultime domeniche dell’Anno liturgico è la lectio continua del cap. 25 del Vangelo di Matteo. Nell’impianto – o struttura redazionale dell’evangelista – all’interno del magistero sull’avvento prossimo del regno dei cieli, dopo la sezione narrativa (1a: capp. 19-23), essa si pone nel cosiddetto “discorso escatologico” (2a: capp. 24-25) – l’ultimo dei grandi discorsi di Gesù – come concentrato delle parabole esplicative. Così le parabole “delle dieci vergini” o de «lo sposo che viene», figura centrale del racconto (Mt 25,1-13, XXXII Domenica del T. O.) “dei talenti e della fede” (Mt 25,14-30), “del giudizio finale” o de «il Figlio dell’uomo, il giudizio dei pagani e dei piccoli» (Mt 25,31-46), o de «il Re della gloria e giudice» concentrato sugli eventi ultimi, i ta eschata, sono gli insegnamenti che il Maestro da come sintesi quasi il Tesario finale di tutto il Magistero precedente, che avrà nella Passione, Morte e Risurrezione, la conferma di veracità divina della sua persona e del suo operato.
2.         All’esame di maturità della sequela nessuno potrà dire o di trovarsi «sorpreso». Il programma da vivere era stato tutto ben spiegato e provato. Consegnato all’assimilazione e all’appropriazione personale, nessuno – se attento alle lezioni del Maestro – dovrà, o dovrebbe presentarsi e trovarsi impreparato.
Di fatto il rapporto definitivo si baserà sulla memoria dei passaggi effettuati:

  • l’avviso a tener conto di un impegno (l’invito a nozze e l’attesa dello sposo per le vergini; la consegna dei talenti e il rendiconto del loro traffico; la premonizione della presenza di Cristo nei piccoli e negli ultimi) e di ricordarsene;
  • la verifica sull’impegno dato e accettato;
  • la valutazione – con conseguente giudizio finale – circa l’osservanza delle consegne.

Per essere l’ultimo esame si tratta di appello unico, senza possibilità di recupero in altre sessioni. Prospettiva, si direbbe, terribile – trattandosi della vita senza ritorni oltre questa vita – se, non fosse invece, incentivante, se non sapessimo che non per essere esclusi o bocciati il Signore ha impostato la storia della nostra salvezza, per motivare con forza e spingerci con energia all’opera indicata.
3.         In queste costanti di procedimento, l’attenzione è concentrata sui personaggi delle parabole: a gruppi, ma da soli hanno da rispondere personalmente e direttamente al Signore e padrone.
Le vergini imprudenti tutte lo sono perché ognuna di loro è stata insipiente e non previgente alla pari delle colleghe più sagge, tutte insieme, perché ognuna saggia per sé; i primi due servi sono intraprendenti per proprio conto, come il terzo lo è infingardo da sé; la separazione dei popoli di quelli che saranno posti alla destra e alla sinistra, è una divisione collettiva, ma perché ognuno, personalmente, appartiene alla categoria dei benedetti o maledetti, e gli uni e gli altri formeranno un insieme, legato dal medesimo comportamento virtuoso o gravemente distratto.
C’è dunque un rapporto diretto e personale, che mette insieme quelli che agiscono in sintonia o in dissonanza con il padrone. Ci si riconosce e si viene riconosciuti appartenente all’uno o all’altro gruppo perché ognuno risponde sotto la personale responsabilità.
4.         Ma in queste constanti ci sono anche delle verità che, se comprese, ricordate e ravvivate, permettono di condurre su toni alti la nostra esistenza.
Anzitutto il rapporto unico che il Signore ha con ciascuno dei suoi servi. Egli chiama, cioè si rivolge in modo diretto a chi conosce e di cui ha fiducia: per questo consegna quanto gli è caro e gli appartiene come sono i propri beni. Potrebbero essere dilapidati, dispersi, rubati, negati senza artifizi tipici di chi sa arricchirsi a proprio vantaggio e altrui danno. Ed invece è solo l’esercizio di una relazione che non chiede condizioni o pone precauzioni di sorta. Dà, e parte.
Non consegna poco. «Il talento, che è un’unità di peso di 30-40 Kg, e significa anche “ciò che è pesato” corrisponde a seimila denari e poiché un denaro, secondo quanto Matteo stesso spiega in 20,2 è il corrispettivo della paga per un giorno di lavoro, si intende qua una somma ingente».
Con i cinque talenti si poteva così lavorare retribuiti per 82 anni, con i due per 32 anni, con un talento per 18 anni con residui di avanzi non spiacevoli.
Raddoppiati i 5 e i 2 avrebbero sottratto alla disoccupazione più di uno. Un beneficio davvero immenso ma capitale di base a vantaggio di altri.
Alla fiducia, il padrone unisce l’accortezza: dà infatti a ciascuno secondo «le proprie capacità», cioè le potenzialità di base e dei propri mezzi. Proprio perché conosce i servi distribuisce in modo oculato, cioè con calcolata prudenza per evitare il fallimento della consegna. Breve l’operazione del padrone, molto più impegnativa quella dei primi due servi. La loro intraprendenza e maestria si rivela nell’immediatezza con cui si mettono all’opera e con i frutti. “Subito”, cioè senza perdere tempo, vanno ambedue ad impegnare i talenti ricevuti e li raddoppiano.
Il “subito” indica l’immediatezza operativa, ma non la facilità, pur se spesso un attività sollecita per essere coronata da successo anche fortuito, provvidenziale, e talora insperato. Certo è che ogni risultato esige tempo e capacità di tenuta. Il custodire oculatamente quanto guadagnato è altrettanto encomiabile quanto il saper mantenere integro e intatto il nuovo patrimonio e in ciò vi è un altro merito dei due servi attivi nel tempo intercorrente tra la consegna dei talenti e il ritorno del signore: perché egli ritorna a regolare i conti «dopo molto tempo». Quando non siamo pressati dall’imminenza, il rischio di lasciarsi andare è forte ed anche la possibilità se non di erodere o intaccare il patrimonio raggiunto, almeno di ridurlo a piacimento. Che può sapere il padrone di qualche utilizzo improprio? E invece tutta raggiunta resta integra.
Non sappiamo quali arti abbiano praticato i due servi, ma serve poco conoscerlo, dando per scontato che abbiano agito onestamente poiché sarebbe stata falsa e fasullo il risultato, a proprio immediato danno e remoto per il padrone. Conta molto di più registrare l’apprezzamento, la lode e il premio che il padrone concede ampliando i poteri e accogliendoli nella propria gioia. Le qualifiche sono dolci e precise insieme: servo buono, capace di interpretare il pensiero del Padrone, di essersi allineato alla sua magnanimità di cuore e di interessi, e servo fedele, cioè capace e maturo di mantenersi lineare con i precedenti comportamenti, coscienzioso e fidato.
La fedeltà su poche cose ha fatto scattare l’ampliamento della fiducia e l’estensione a poteri delegati. Continua la collaborazione, si consolidano i legami precedenti sulla base di un affidamento provato.
5.         Si stagliano chiare, ora, le grandi ammirevoli verità da ricordare quotidianamente per vivere con autenticità e credibilità, sordi dinanzi a tutte le sirene di un canto ammaliatrice e non rapiti da fuochi fatui.
            Il Signore si interessa di ciascuno di noi come se fossimo figli unici. Conosce bene le qualità che abbiamo – è lui stesso che le ha date – e ci proporziona le consegne per la causa del Regno. Lascia tutto il tempo necessario perché quanto va compiuto per suo mandato arrivi allo scopo finale. Esalta oltre l’insperato il dovere compiuto, gode nel verificare l’esatta corrispondenza ai disegni riportati su di noi.
            L’Anno della verità deve significare per la nostra Chiesa proprio questa riscoperta e questo percorso: intercettare la verità di Dio su ciascuno di noi, per vivere nella verità tra di noi. Solo così i nostri occhi possono posarsi sugli altri e fissarsi in quelli degli altri come quelli di Dio.
Ma v’è pure una visione critica guardinga verso Dio, che si ritorce su chi la coltiva a lungo e vi resta a suo modo fedele. È figlia della paura ma anche dell’infingardaggine, cioè di una passività che esclude a priori l’intrapresa di una qualsiasi attività che alla fine a differenza dagli altri due colleghi, non si risolva in positivo per il pigro. La paura della perdita del patrimonio di partenza ritorna come boomerang di accusa in contraddittorio nel confronto con il padrone. E il giudizio è pronunziato a partire addirittura dalle stesse scuse portate a discolpa.
            Si completa così la verità di Dio sulla nostra vita. A nessuno è permesso di sottrarre e rendere improduttivo il talento ricevuto. La paura non può essere una scusa per un’esistenza chiamata ad essere attiva e produttiva. Dio non tollera amorfi, sfaccendati, timorosi solo di sbagliare. Al patrimonio della sua bontà nel mondo tutti sono chiamati a portare il proprio contributo, nessuno escluso.
La pena è terribile e sembrerebbe oltraggiosa se non fosse in perfetta antitesi con il premio concesso ai buoni: deprivato dell’unico talento a vantaggio di chi già ne aveva dieci, resterà escluso dal regno di Dio.
 
II.
1.         “Apriti alla verità, porterai la vita” così recitava il tema della Giornata Mondiale di preghiera per le Vocazioni di quest’anno, concentrando un binomio che nella vita cristiana e per di più della sequela è inscindibile. Se stiamo nella verità, se siamo cioè da essa posseduti, prepotente sarà il bisogno di portarvi anche chi ancora ne è fuori, o distante o lontano. La contemplazione della verità di Dio operante in noi diventa missione. Chi abita la verità, sente forte la necessità che nessuno ne sia profugo, ma ne diventi, invece inquilino.
2.         In questa costruzione solida e robusta prende senso e motivazione l’esercizio delle sette opere di misericordia spirituali, sorelle di quelle di misericordia corporale che, in simmetria con esse nell’Anno della carità, vengono oggi consegnate alle nostre comunità perché ispirino, alimentino, animino il primo tempo dell’Anno della verità lasciando alla fantasia, all’inventiva, all’adesione piena alle ispirazioni interiori di ognuno e delle comunità, da esercitarle in pienezza. La loro pratica richiederà più attenzione e dedizione perché non si esauriscano in una attenzione che diventa azione caritativa, ma in un’applicazione che privilegi, pazienza, comprensione, preparazione, competenze, coerenza di vita, fede forte e convinta.
            Consigliare i dubbiosi (dicembre) comporta essere già passati attraverso e incertezze della scelta e saper indicare come decidersi secondo verità.
Insegnare agli ignoranti (gennaio) presuppone la capacità di rendersi conto, di quali sono le carenze degli altri perché siano coltivate con competenza e certezza di dottrina o di saperi.
Ammonire i peccatori (febbraio) va al di là di una semplice esortazione a non sbagliare, ma a dimostrare, partendo dalla personale esperienza di perdonati e redenti, che la via del peccato, è via sbagliata, cioè non vera, che se permanente il danno e nella vita presente, irreversibile in quella futura.
Consolare gli afflitti (marzo) presuppone l’essere passati attraverso grandi tribolazioni e aver sperimentato la vicinanza e la consolazione di Dio per farsi prossimo, delicato e prudente di chi sta attraversando periodi forti di sofferenza ai limiti della sopportabilità fisica ma anche spirituale.
Perdonare le offese (aprile) e sopportare pazientemente le persone moleste (maggio) suppone la resa e la convinzione che l’unica logica che l’unica legge che ne motiva l’esercizio è l’esempio supremo, ammirato in Gesù nei confronti dei suoi avversari operanti, nelle forme più raffinate e perverse dell’inizio del ministero pubblico fino alla morte in croce, culminante nella preghiera di perdono per i suoi carnefici.
Queste due opere, le più difficili da vivere personalmente, sono anche le più disattese nelle comunità. Come è possibile celebrare l’Eucaristia, assolvere, predicare la misericordia di Dio per noi presbiteri, se poi troviamo difficoltà che sembrano insormontabili e impossibili da risolvere nel confronto con un confratello di cui crediamo – a torto o a ragione – di essere ostacolati e impediti a vivere in pace o unità esemplare? A quale cristianesimo corrisponde nella Comunità la formazione di gruppi o gruppetti, che si beccano a vicenda, schierandosi per l’una o l’altra parte, eccetto che tutti per Gesù Cristo? Come riteniamo di dover esercitare queste opere, se per primi non vi siamo esercitati noi?
Pregare Dio per i vivi e per i morti (giugno) è opera di pietà, è la carità più possibile per il ritorno di bene che ne proviene in questa e nella vita di là.
III.
1.         «Ogni vocazione, pur nella pluralità delle strade, richiede sempre un esodo da se stessi per concentrare la propria esistenza su Cristo e sul senso del suo Vangelo. Sia nella vita coniugale, sia nelle forme di consacrazione religiosa occorre superare i modi di pensare e di agire non conformi alla volontà di Dio. È un “esodo che ci porta a un cammino di adorazione del Signore del servizio a lui nei fratelli e nelle sorelle”» – ricordava Papa Francesco, che asta facendo della parresia e dei gesti che l’accompagnano la linea ordinaria del servizio petrino – nel Messaggio alla pre ricordata Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni il cui titolo resta un programma: «Le vocazioni, testimonianza della verità». In tale dinamica l’Anno della verità chiamerà tutte le vocazioni ad appropriarsene, non in modo generico, ma specificatamente per il rispettivo stato di vita.
Basti in quest’oggi della sua Apertura fissarne le note peculiari e i testi di supporto che riprenderemo nei prossimi mesi.
A noi Presbiteri è richiesto di «porre mano all’impresa di ripensare la formazione permanente fino a farne un capitolo di quella riforma della Chiesa che Papa Francesco richiama con insistenza e che non si può fare senza un nostro rinnovamento», nella persuasione «che il fattore determinante della vita del Clero è l’assunzione dell’appartenenza al presbiterio come determinazione essenziale della nostra identità sacerdotale» (Lettera dei Vescovi italiani ai presbiteri delle Chiese d’Italia, a conclusione della 67a Assemblea Straordinaria della CEI, Assisi 10-13 novembre 2014).
            Questi passaggi della lettera dei Vescovi Italiani ai presbiteri delle nostre Chiese riassumono il Messaggio inviato da Papa Francesco all’Assemblea Straordinaria della CEI, riunitasi ad Assisi in questi giorni (10-13 novembre 2014).
            «Rallegratevi» si intitola la lettera circolare ai consacrati e alle consacrate, inviata dalla Congregazione per gli istituti i vita consacrata e le società di vita apostolica per l’Anno della vita consacrata che avrà inizio con la preghiera nella Basilica di Santa Maria Maggiore il 29 novembre prossimo e che si concluderà il 2 febbraio 2016 nella Giornata Mondiale della vita consacrata nella Basilica di San Pietro.
«Rallegratevi, esultate, sfavillate di gioia», «Consolate consolate il mio popolo» sono le corsie indicate ai consacrati nella circolare, che diventa così la magna carta per rilanciare la bellezza e il fascino dei «votati tutti al Regno».
            Il “Vangelo della vita”, come verità sulla famiglia è il Sacramento del Matrimonio nella dimensione dell’amore e nella pratica della misericordia saremo chiamati a riapprofondire per nuovi contributi al Sinodo sulla famiglia, approdo dell’ampia, articolata vivace riflessione già coinvolgente l’intera Comunità cristiana nelle espressioni di pensiero e di prassi che l’attraversano.
2.         Tutte queste stimolanti prospettive in felice coincidenza con il nostro Anno della verità possiamo unificarle nella prospettiva della Chiesa italiana verso il Convegno Nazionale, tra giusto un anno, nel novembre 2015, su “In Gesù il nuovo umanesimo”.
Alla fine resta e si ripropone la domanda di Pilato, che trova personificazione ogni qual volta la sfiducia ha il sopravvento sulla ricerca paziente e libera da condizionamenti interni ed esterni: “Che cos’è la verità?” Non è vero che Gesù non abbia dato la risposta: bastava guardarlo con occhi diversi: era lui in persona, vicinissimo. Pilato, piuttosto, non l’ha attesa continuando a fare il giusto indaffarato. «Noi crediamo che Dio non ascolti le nostre domande. In realtà siamo spesso noi che non ascoltiamo le sue risposte» scriveva François Mauriac. Di risposte sulla verità, la Piana ne attende ancora molte: ci sarà tutto un anno per ritornarvi su.
«All’unico e indivisibile Dio, al Padre della verità, a colui che ci ha inviato il Salvatore, l’autore dell’immortalità e il rivelatore della verità e della vita celeste, sia gloria nei secoli dei secoli».
Amen.