venerdì 26 Apr 2024

Introduzione al Convegno di mons. Francesco Milito

INTRODUZIONE
CONVEGNO PASTORALE DIOCESANO
“DALL’ANNO DELLA CARITÀ
ALL’ANNO DELLA VERITÀ”
Rizziconi, 7 novembre 2014
Auditorium diocesano “Famiglia di Nazareth”
Carissimi,
1. ci è caro richiamare in questa sede le ore di luce e di grazia ricevute nei giorni del “Congresso Eucaristico Diocesano” quando, con attenzione viva e grande partecipazione, le abbiamo assorbite da maestri di Spirito e della Parola. Un calore interiore ne è venuto, condensato nella Giornata di chiusura del Congresso, la Solennità del Corpo e del Sangue del Signore, il 19 giugno, e a lungo rimasto dentro, come il tepore da non disperdere, come eredità di un’esperienza forte, costruttiva e promettente per il cammino della nostra Chiesa.
Le gravi perturbazioni, che hanno attraversato il periodo estivo e questi primi mesi autunnali, hanno potuto abbassare la temperatura, ma in alcun modo gelarla. Al contrario: proprio nella centralità salvifica e robusta dell’Eucaristia abbiamo ripreso rigore e capito che tanto più il mistero dell’amore si fa coro alla pietà del credente, tanto più il mistero dell’odio si accanisce con rabbia e arti diaboliche.
Di lì, dal silenzio di amore del Tabernacolo, indicatore della strada dell’incontro con il Signore, sorgente e scuola delle vie della Carità, ripartiamo oggi nell’avviare l’Anno della verità.
È lo stesso Gesù Cristo, Alfa e Omega, Primo ed Ultimo nella storia del mondo che si sta dinanzi. Giudice ultimo universale per la verifica finale e definitiva sulla pratica dell’amore-verità, è anche il Primo, il Pantocratore, colui per mezzo del quale tutto è stato e senza di lui è stato fatto: la misura della verità.
Il Buon Samaritano per ogni bisogno, la luce da luce, il Dio vero da Dio vero, il Maestro, stimato come veritiero e insegnante la via di Dio, secondo verità, senza rispetto umano per nessuno (cfr Mt 22,16) è di fronte a noi.
2. Dall’Anno della carità all’Anno della verità ci distingue solo la nuova cronologia, da 2013-2014 a 2014-2015, non quella antropologica né quella teologica. Restiamo sempre noi i soggetti coinvolti e Lui il Pantocratore: Gesù Cristo, carità/amore, verità/bene insieme. Dio amore è Dio verità secondo cui ci ha amati e ha dato se stesso per noi. L’amore crede perché ama, perché ha fiducia nella Verità, che è l’altro e dell’altro.
Per questo carità e verità sono credibili solo a partire dalle opere che ne dimostrano la fondatezza.
Quando non v’è corrispondenza, v’è somma menzogna, deludente e spiazzante per chi parte dal linguaggio dei segni per convincere della verità verbale; ombre e nebbia si porranno tra l’ascolto e la visione e l’incedere proprio e altrui va per sentieri sbagliati; amor più deviante quando ci si presenta come appartenente a Dio: «Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità» (1 Gv 1,6). Non è una possibilità remota.
Il racconto della guarigione del cieco dalla nascita (Gv 9,1-39) è lo sconcertante paradigma di chi si crede nella verità, e per ciò responsabilizzato a difenderla quando non collima con i propri parametri, ricorrendo a tutti gli espedienti per imporre le proprie posizioni scettiche, piuttosto che arrendersi all’evidenza, che non ammette sofismi. Molto dipende dai percorsi della vita e dalle posizioni di partenza, o da rigidità intellettuali, privilegi da non perdere.
3. Pilato dinanzi a Gesù ne rappresenta l’esempio più diffuso: «Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?” Rispose Gesù: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. Gli disse Pilato “Che cos’è la verità?”» (Gv 18, 37-40).
È cinico, Pilato, o agnostico? L’uno e l’altro. Sa bene di che parte sta la verità per Gesù, tant’è che svelato dopo riconoscerà di non trovare in lui nessuna colpa (cfr. Gv 18,38). Non può condannarlo e deve assolverlo e, invece, sfacciatamente chiede alla folla se, per l’usanza in occasione della Pasqua di rimettere in libertà un condannato a morte, questa grazia può applicarla a Gesù che ancora non è stato condannato a morte. Sa che riceverà risposta negativa, e tale sarà: grazia “sia” ma per il brigante Barabba, non per il giusto Gesù: cinismo puro di un uomo pavido e di un funzionario, indeciso e pauroso, capolista di una serie di colleghi che nella storia di ieri e di oggi – e pur di domani – preferiscono il proprio posto all’onesta di una verità evidente e riconoscibile.
Ma anche agnostico, di chi da l’impressione di essere rimasto fuori, o ai margini della ricerca che nell’Impero, all’epoca aveva già recepito la grande lezione di ricerca degli universali e dei trascendentali (si pensi a Socrate, Platone, Aristotele), né mancava di filosofi e pensatori alla ricerca e ai primi barlumi di verità nella stessa Roma.
Forse l’atteggiamento profondo e radicato di un uomo che tante ne aveva viste e udite nelle vesti di funzionario di un potere militare e violento da non credere che potesse esistere la verità? Eppure, con finissima intuizione e convinzione di chi era passata attraverso verità diverse, Simone Weil, avrebbe scritto secoli dopo «Qualsiasi essere umano, anche se le sue facoltà naturali sono pressoché nulle, penetra nel regno della verità riservato al genio, perché desideri la verità» (Weil, a cura di Wanda TOMMASI, Corriere della Sera, Grandangolo – vol. 32, Milano 2014, p.36).
Ma se la verità è riservata al genio, questa categoria, che resta pur sempre elitaria, sarebbe la meno preferibile perché la quasi totalità degli abitanti della terra di tutti i tempi ne resterebbe priva. Così non può essere e, di fatto, così non è.
A Pilato Gesù non ha dato una risposta, come invece aveva fatto per le domande precedenti. Tutto fa pensare che questi né se l’aspettasse, né la volesse, intento com’era più a liquidare un increscioso e imbarazzante caso giudiziario, anziché a ricevere lumi su un quesito così radicale e determinante. Non interessato ad ascoltare risposta, neppure si era accorto – e come poteva nella ridda tumultuante di una folla in subbuglio e di pensieri confusi – che la verità gli stava accanto, vicino, di fronte?
Non un sistema di pensiero, ma una persona, la verità in persona, Gesù il Nazareno.
L’ascolteranno questa rivelazione – ma anch’essi faranno fatica a convincersene se non dopo crisi di fede e l’illuminazione dello Spirito Santo – con l’auto-identità di Gesù nei dialoghi, rivelatori ma ancora per essi del tutto incomprensibili.
«Quando sarò andato, e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via”. Gli disse Tommaso: “Signore, no sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?” Gli disse Gesù: Io son la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto» (Gv 14, 5-7).
4. «Io sono la via, la verità e la vita».Permettete che la legga in greco per coglierne sfumature linguistiche non tutte percepibili in italiano
Ego eimi he hodos kai he aletheia kai he zoe
Io sono la  via     e  la verità    e   la vita
«Io sono» è la formula della Divinità (cfr Es 3,14) per eccellenza, nel contesto della Cena resa ancora più evidente dalle aggiunte di Gesù: «Io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 14, 10-11) e dell’apertura di una compartecipazione alla medesima vita divina: «Io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi» (Gv 14,20). Seguiranno nello stesso contesto accostamenti simbolici e simbiotici: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore» (Gv 15,1), «Io sono la vite e voi i tralci» (Gv 15, 5). In questa compartecipazione una supplica ardente al Padre per i suoi «Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo, per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità» (Gv 17,15).
Potente e commuovente sintesi: la consacrazione che egli fa di se stesso è perché siamo consacrati nella verità per la missione che li attende. Più avanti una difesa più diretta e più strenua, quel giardino del Getsemani: «“Chi cercate?” Gli risposero “Gesù il Nazareno”. Disse loro Gesù “Sono io!” Viene con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro “Sono io”, indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: “Chi cercate”. Risposero: “Gesù il Nazareno”. Gesù replicò “Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano, perché si adempisse la parola che egli aveva detto: “Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato» (Gv 18, 4-9).
Una sequenza di colpi di scena: la missione per la cattura di uno che non si conosce. Come a dire: si perseguita, talora, Dio-Verità su mandato di altri, si resta quasi distrutti nel confronto che la rivela, rischiano con lui quanti lo seguono sulla stessa via. Cose di ieri, cose di oggi.
5. Questa identità divina – quasi inafferrabile nella sua formulazione ontologica assoluta – come sempre, come altre volte – diventa comprensibile e a portata di mano quando viene specificata: Io sono la via, la verità, la vita, son separate, ma unite tra loro la via e la verità e la vita: l’una non esiste a sé stante e sussiste con le altre.
“La” via: percorso preciso, traiettoria sicura, strada diretta. Seguendola si arriva con certezza alla meta. Molto più che un navigator, una guida, un conducente che si mette accanto a te e puoi esser certo che correrai nessun rischio per incidenti. È la tua sicurezza e la tua assicurazione contro tutte le difficoltà e impervietà che una strada può riservare.
“La” via: altre non ve ne sono per arrivare al Padre, per cui abbandonarla, cedere alle deviazioni, lasciarsi attrarre da una segnaletica, sempre interessante, a volte anche ammaliatrice, si trasforma in particolari ritardi sulla tabella di marcia o in dispersione e disperazione totale. Interruzioni, percorsi alternativi per lavori in corso non esistono. Al Padre vi va per direttissima sulle velocità impressa dalla guida sicura.
 Io sono la Verità = aletheia Anche in questo immediato passaggio l’assolutezza dell’affermazione non lascia dubbi o alternative. Io sono “la” – non una tra le tante e possibile – “la“: l’unica e assoluta, cioè con sinonimi: la realtà, la sincerità, la veracità, la lealtà:
– la realtà opposta all’apparenza
– la verità opposta all’opinione
– la realtà come evento reale, come realizzazione
– la lealtà, opposto alla menzogna.
In italiano è parola in sé compiuta; nella lingua greca – la lingua dei Vangeli – è parola composta: l’ a-letheia prefisso privativo e negativo – spiega che cosa si nega: dal verbo «Lanthano»: essere, stare, nascosto, occulto, ignoto, celato, sfuggente l’osservazione, per fermarci all’etimologia di base. Che se ci addentrassimo nella coniugazione dei tempi e dei modi del verbo – in greco sempre indicanti sfumature di senso – preciseremmo: sfuggire all’attenzione, passare inosservato, restare nascosto o ignorato e, anche lasciarsi sfuggire, tralasciare, dimenticare, dimenticarsi restare in segreto, impercettibile.
Nessuna di questa realtà può applicarsi a Cristo: è la verità, perché è la luce, è la verità perché nulla ha da nascondere essendo venuto a rivelare l’amore; né nulla – dirà – resterà nascosto, operando sempre in perfetta trasparenza.
Per questo, tutto ciò che non appartiene al mondo di aletheia – verità-luce – appartiene al mondo di lanthano: occulto, tenebre.
Se giovi o no camminare nella luce o brancolare nelle tenebre non v’ha bisogno di argomentazioni speciali per decidersi nella vita.
Ed è in questo campo che Gesù completa l’autorivelazione: io sono “la” vita: Ancora una volta, in modo preciso e perentorio, “la” vita che non ammette altre forme di recuperi. In assoluto: il modo concreto dell’essere e dell’esistere, la zoe », la forma primordiale del vivente, che rimanda ancora all’“Io sono”.
Se è via e verità e vita lo è perché solo attraverso Lui e la sua conoscenza, si viene e si conosce il Padre. Chi questa equazione ha compiuto in Cristo ha anche conosciuto e veduto il Padre (cfr Gv 14, 6-7).
6. L’esito esistenziale che proviene da questa rivelazione di Gesù Cristo è: la verità è un cammino, una ricerca che conosce indubbiamente una ricerca del pensiero, esplorativa, intellettuale: «“Che cosa cercate?” – chiede Gesù ai due discepoli di Giovanni che, dopo averlo sentito il Battista stanno già seguendo Gesù – Gli risposero: “Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui, erano circa le quattro del pomeriggio». (Gv 1,38-39)
Una ricerca sì, che incontra e si concentra in lui, il Cristo. La verità – all’inizio, alla fine, è la Persona di Cristo. Se lo si segue, raggiunge e ci si intrattiene con Lui, non lo si lascia più: «rimasero con lui, “per sempre”». Come vorremmo – come dobbiamo volere, che ciò sia anche per noi.
Ecco completato il logo di quest’Anno della verità: Cristo, Signore del cosmo e della storia – che diventa per noi – lo è già per sua natura – “fulgore [della verità], cioè splendore vivo, candore e lucentezza abbagliante, luminosità pura e sublime. (Vocabolario Illustrato della Lingua italiana, G. DEVOTO e G. C. OLI, Milano 1978, p. 1007).
In essa vogliamo entrare con questo Convegno nel nuovo Anno Pastorale, anche con l’aiuto di chi porta più lumi al nostro incamminarci per proseguire con atti concreti e di crescita. Ci saranno di esempio e di sprone, come nei due precedenti anni della fede e della carità, santi che hanno fatto della ricerca, della difesa, della diffusione, dell’itinerario a Cristo-Verità lo scopo della loro vita e della loro preghiera: Magno Flavio Cassiodoro Senatore, Agostino d’Ippona, Anselmo di Aosta, Tommaso d’Acquino, Ignazio di Loyola, Alfonso Maria de’ Liguori, John Henry Newman, Edith Stein/Santa Teresa Benedetta della Croce. Ci siedono accanto dall’alto, ci precedono e proteggono dall’alto, essi che ormai contemplano in eterno Dio-Verità.